di Maria Teresa Abignente
Ci sono giovani provenienti da Paesi in conflitto che qui non fanno la guerra. Ma imparano la pace. Rondine è un piccolo borgo, alle porte di Arezzo, dove il mondo armato si ferma.
Dove il corto circuito della speranza è di casa.
I bambini ci insegnano: loro conoscono istintivamente meglio di noi i trucchi per aggirare gli ostacoli; loro lo sanno che per imparare a vivere con le proprie paure bisogna farci amicizia, bisogna toccarle, guardarle, annusarle. Ritrarsi e studiarle da lontano, avvicinarsi piano piano e addentrarsi con un po’ di tremore. Renderle amiche, non più confuse e distanti, non più estranee e mostruose, non solo qualcosa di cui provare spavento, ma qualcosa invece da conoscere, sperimentare ed esplorare. Per giungere a capire, infine, che non ci sono fantasmi nel buio, che non ci sono nemici. Dovremmo imparare da loro.

C’è un posto dove si prova a tornare bambini, dove si tenta di trasformare in amico il nemico. È un posto che ha un nome leggero, Rondine: già il nome di questo piccolo borgo nei pressi di Arezzo, ci aiuta a spiccare il volo, facendoci immaginare piroette e giochi nel vento, ci fa sentire liberi dal peso dell’odio o del rancore. Rondine è abitata, anzi si è fatta nido e chi ci vive prova a dimenticare le ragioni dell’inimicizia, della guerra, delle vendette. Rondine Cittadella della Pace è un luogo in cui studenti provenienti da paesi in conflitto, che nelle loro terre sarebbero nemici, per qualche anno vivono insieme: si toccano, si guardano negli occhi, si parlano. E, come i bambini, infine capiscono che non ci sono nemici. Siamo andati a trovarli qualche mese fa, abbiamo visitato il loro nido e ci siamo fatti raccontare le loro storie. Li abbiamo poi invitati a Loppiano a parlare del perdono: chi meglio di loro può testimoniare che questo è sempre possibile se lasciamo finalmente scivolare dal nostro cuore i pregiudizi? Sono un fiume in piena questi ragazzi. Sono l’umanità messa alla prova e fiorita. Le loro parole sono troppo dense per essere diluite. Lasciamo parlare due di loro, Yahel, e Ulwia.
“Sono Yahel, israeliana. Voglio raccontarvi di tre anni fa, quando stavo per tornare a casa per le vacanze. La prima lunga vacanza dopo un anno a Rondine, l’anno in cui le persone, chiamate prima dell’arrivo a Rondine “nemici”, ora avevano un nome, Suha, Rabee e Ibrahim. Questi volti, sono diventati prima delle persone e poi con fatica degli amici. Era l’estate del 2014 e in Medio Oriente era scoppiata la guerra a Gaza. Non volevo ritornare, avevo paura di quello che avrei trovato lì, sentivo il peso della tristezza e della follia e soprattutto non volevo lasciare i miei amici e la mia terra di pace, Rondine. Tornare a casa in quel momento rappresentava andare in una terra di guerra. Subito, la prima notte mi ha svegliata l’allarme che preannuncia un bombardamento e lì, nel rifugio con la mia famiglia ed i miei vicini, mi è successo qualcosa di strano. Ho sentito l’allarme ed il rumore del bombardamento, ma riuscivo solo a pensare: ma… Rabee? E Suha? E Ibra? Loro dove saranno ora? Loro avranno un posto sicuro dove nascondersi? E le loro famiglie e i loro parenti? Pensavo: ti prego Dio fa’ che stiano bene. Il mondo di oggi è un mondo in guerra: immaginatevi di sentire la paura, il rumore delle bombe e l’istinto selvaggio di salvarvi e proteggere i vostri cari. Ora immaginate che la persona alla quale volete tendere le braccia per offrirgli un rifugio… sia il vostro nemico. Questo è quello che mi ha regalato Rondine: un mondo senza confini perché fatto di volti, di racconti e di un desiderio profondo di proteggere il proprio nemico, perché ognuno di loro è diventato una parte di chi sono io oggi.”
“Mi chiamo Ulwia e vengo dall’Azerbaijan. La situazione al confine tra Azerbaijan ed Armenia era tranquilla fino all’anno scorso, quando ad Aprile è stata violata la tregua e dopo vent’anni sono ricominciati gli scontri. In quel giorno io avevo lezione all’università ed ho ricevuto un messaggio da mio fratello, che mi diceva che era partito per la guerra. Al rientro mi sono fermata lungo la strada che porta a Rondine: sentivo un forte grido dentro di me che mi diceva di non andare, di non crederci più; la Pace che a Rondine era cresciuta nel mio cuore ora non aveva più senso, era solo una bugia. E in quel momento sono risuonate le parole che mia madre fin da piccola mi ripeteva: “se non ci fossero questi armeni, la nostra vita sarebbe migliore”. Continuavo a camminare ed intanto mi ripetevo “se non ci fossero questi armeni…”. A Rondine c’erano due studenti Armeni: quelli che sarebbero potuti essere i miei “nemici”, quelli che, in quel momento, a casa, lo erano. In cima alla strada ho incontrato subito uno di loro. Un ragazzo della mia età Armeno. Non ci siamo salutati. Ci siamo fissati negli occhi. Uno sguardo profondo e dentro i suoi occhi, ho rivisto la mia stessa paura, la mia stessa rabbia, l’odio che stavo provando nel mio cuore. Anche suo fratello era al confine, in guerra. In quel momento ho capito cos’è la pace per me: sono io che mi preoccupo per il fratello del mio “nemico”, per sua madre e per i suoi cari, che piangono dall’altra parte del conflitto, come i miei. La pace per me è quell’abbraccio che non incolpa nessuno: non è l’assenza di conflitto, ma è scoprire te stesso dentro l’altro, rispettarlo e trovare un equilibrio.”
Rondine Cittadella della pace custodisce il mondo che può sbocciare, dove i nemici si abbracciano e non si fanno più paura. Nel nido di Rondine cresce il mondo vero, quello sognato, quello sperato, dove “misericordia e verità si incontreranno e giustizia e pace si baceranno”. Il mondo dove i confini sbiadiscono e la pace non è uno sterile compromesso, ma quel cuore dove l’impossibile diventa possibile.
Tratto dalla rivista di Romena, n. 4/2017 Fratello Aiuto
*La testimonianza di Ulvya e Yahel di Rondine può essere vista sulla pagina Youtube della Fraternità di Romena