di padre Ermes Ronchi
Che cosa è davvero prioritario per noi? Padre Ermes ci indica due domande da porre a noi stessi per capire se la nostra vita viaggia nella direzione giusta e per individuare ciò che ci serve davvero per alimentarne il cammino…
Ritrovare sé stessi inizia da una domanda: ma chi sono io? Sono forse i miei pensieri? Ma quante idee sbagliate ho coltivato e abbandonato… Sono forse quelle idee sbagliate? No. Sono la mia volontà, le mie decisioni? Ma quanta fragilità… Sono i miei sentimenti? Ma ho dentro una tavolozza complessa, che oscilla dai colori più scuri ai più luminosi… Io non sono i miei pensieri, non sono la mia volontà, non sono i miei sentimenti. C’è qualcosa di più profondo di idee, decisioni ed emozioni, e tutte le religioni l’hanno, da sempre, chiamato “cuore”. Che non è la sede dei sentimenti, ma il mio principio di unità. Il cuore è la cattedrale del silenzio, là dove si sceglie la strada, dove si accolgono o si respingono le emozioni che sorgono selvatiche. Il luogo delle infinite rinascite, dove si ascolta, si ama, si gioisce, si sceglie. Alcuni passi mi hanno aiutato e mi aiutano a ritrovarmi, innanzitutto a partire dalle domande del cuore.
Mi piace la mia vita?
La prima domanda, la più vitale, quella in cui ritrovo il cuore, da cui inizia ogni incontro con la mia anima, è questa: ma io sono contento? Mi piace la mia vita? Questa prima domanda non è di tipo morale o etico (sono buono o cattivo? Credo poco o credo male?), ma riguarda ciò che germoglia nel mio spazio vitale: ma io sono felice? Il problema della felicità coincide con il problema dell’esistenza, diceva Friedrich Nietzsche.
In principio una domanda. Anche Dio ci educa alla vita, alla fede, attraverso domande, non attraverso formule o risposte. La prima parola di Gesù nel vangelo di Giovanni è una domanda: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Qual è il vostro desiderio profondo? Le domande sono la bocca affamata e assetata attraverso la quale gli uomini mangiano, bevono, respirano, baciano. Questa domanda (ma io sono contento?) è come un punto di agopuntura che, attivato, contribuisce a guarire l’intero corpo.
Cosa mi dà gioia?
La seconda domanda è un approfondimento della prima: quali sono le cose che mi procurano gioia, ma gioia che duri? Lo specifico metro della gioia non è l’intensità, una fiammata che brucia tutto, ma la durata. Don Michele Do amava ripetere un suo slogan: dura ciò che vale e vale ciò che dura.
Il primo esercizio per ritrovare il cuore è stilare l’elenco – ed è breve – delle cose che mi danno gioia che dura. Forse mi accorgerò che la gioia viene dai volti. Questo è il perno attorno al quale la vita ritrova sé stessa. L’ho imparato leggendo la vita di Ignazio di Loyola, cavaliere di Spagna ferito all’assedio di Pamplona. È ricoverato in un piccolo ospedale per la convalescenza e si fa portare dei libri da leggere, libri di due tipi: storie di cavalieri e storie di santi. Lui scrive: «Mi piacevano tutti e due i generi, ma c’era una differenza: uno di questi mi procurava un piacere che durava più a lungo dell’altro, ed erano le vite dei santi». Questa esperienza di piacere più duraturo è il punto di partenza della sua conversione. Sant’Agostino l’aveva teorizzato così: nelle scelte della vita vince la promessa di più gioia, perché «l’uomo segue quella strada dove il suo cuore gli dice che troverà la felicità».
Che cosa fa muovere e avanzare la vita? Un’attrazione e una passione. Perché la vita non è statica, ma estatica (cioè esce da sé), la vita è un uscire, un andare oltre… Non avanza per divieti o per obblighi, ma per attrazione. Avanza per una passione, e la passione nasce da una bellezza, almeno intravista: la bellezza è profezia di gioia. La cosa più bella della storia è l’atto d’amore accaduto fuori dalle mura di Gerusalemme, su quella collina, dove il Signore Gesù, povero, si fece crocifiggere su un po’ di legno conficcato su un palmo di terra, quel tanto che bastava per morire.
Tratto dal libro di Ermes Ronchi “L’infinita pazienza di ricominciare”, Edizioni Romena, 2016. Disponibile online