di Pier Luigi Ricci
C’è una bellissima lettera di Carl Jung ad o cristiano che mi è sembrata degna di e proprio perché apre ad una lettura nuova sul concetto di accoglienza. Ve ne vorrei proporre un estratto: “Vi ammiro voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo e quando date del pane ad un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la persona di Gesù in voi? Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, dò prova senza dubbio di grande virtù …
Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso . in me… che sono io stesso ad aver bisogno dell’elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico da amare… allora che cosa accadrebbe? Non vedete che c’è un malato anche dentro di voi? Che anche voi siete chiusi in una prigione di paure? Che ci sono cose strane in voi, violenze, angosce, cose che non controllate e che sono estranee alla vostra volontà? C’è uno straniero dentro di voi e dovete accoglierlo, non metterlo alla porta, non negare la sua esistenza, sapere che c’è, accoglierlo e vedere in lui Gesù”.
Penso che queste parole si commentino da sole. E che offrano una luce nuova a tutti i dibattiti in corso sull’opportunità di accogliere, su come accogliere, sul chi accogliere. Se “nulla di ciò che è umano mi è estraneo”, secondo la famosa frase dello scrittore latino Terenzio, allora è vero che quando incontro la rabbia, la paura, la solitudine degli altri, in realtà incontro e vedo un pezzo di me. Rifiutando l’altro che non ci piace nello stesso istante rifiutiamo noi stessi e ci esponiamo ad un grande pericolo: il giorno in cui alcune parti di noi verranno a galla, nello stesso istante e in maniera inesorabile quelle cannonate e quei rifiuti li useremo contro di noi. Accogliere se stessi ed accogliere gli altri sono due cose legate indissolubilmente, due facce della stessa medaglia. E così è per il rifiutare gli altri e il rifiutare sé stessi.
Quando qualcuno mi chiede: ma cosa ci guadagno io a fare spazio agli stranieri, a perdonare chi mi fa un torto, a capire chi sbaglia? Gli rispondo che in quelle sere in cui si ritroveranno tristi o arrabbiati davanti alle proprie miserie, in quel momento sapranno accogliersi e rialzarsi. E questo non è poca cosa. Accogliersi è quella porta stretta che conduce alla vita di cui parla Gesù nel Vangelo. Ed è uno spazio magico, potente, il gesto che dura un secondo ma che ti cambia la vita. Ma come si fa ad impararlo? Perché in quelle sere in cui ci ritroviamo da soli, a farci del male, in quei momenti sarà difficile trovare le risorse che ci abilitino a far pace, ad abbracciare quello straniero, quel mendicante di affetto, quel fallito che è in noi. Come si fa ad essere pronti, ad essere preparati per quelle sere? Accogliendo, aprendo la porta, abbracciando gli altri nel giorno in cui ne hanno bisogno. Punto, è tutto qui.
La vita poi fa il resto. Ci offre le occasioni e hai visto quante ce ne offre. Custodisce quello che semini ed al momento opportuno ci restituisce frutti in abbondanza. E ci sussurra piano piano che se un giorno non riesci e stai tornando indietro, non ti devi scoraggiare. Fra un attimo di occasioni se ne presenteranno altre e potrai sempre ricominciare.
Tratto dalla rivista di Romena, n. 1/2016 Accogliere