Apriamo questa settimana creando insieme un piccolo spazio di incontro con Gianni Marmorini e con il suo modo tutto speciale di incontrare la Bibbia.
Ci prepariamo così a una nuova occasione di compiere un percorso con lui: il suo prossimo corso a Romena (“Dove è odio, ch’io porti l’Amore”, dalla preghiera semplice di San Francesco) è infatti alle porte: si svolgerà l’1 e il 2 febbraio e sappiamo già che sarà un evento partecipatissimo.
Don Gianni è un prete molto amato perché sa toccare sempre le corde dell’umano, perché smitizza la figura del prelato e l’avvicina alla gente e anche perché, da studioso appassionato della Bibbia, propone un approccio inedito e coinvolgente al libro sacro.
Proprio questo aspetto è al centro di una lunga, bellissima intervista a Gianni che è parte del libro “Avrò cura di te”, delle Edizioni Romena (a cura di Massimo Orlandi e Attilio Varricchio) e che contiene interventi di figure molto eterogenee: da Daniela Lucangeli (neuroscienziata) a Gianni Criveller (missionario), da Stefano Zamagni (economista) a zia Caterina, la famosa tassista fiorentina. Gianni si occupa della cura della Parola. Vi offriamo alcuni passaggi della sua intervista…

L’urgenza di incontrare in maniera più profonda la Parola sacra è arrivata quando eri sacerdote già da molto tempo. Come è avvenuto questo passaggio?
La Bibbia è il libro più tradotto e stampato al mondo ma, in proporzione, è molto meno conosciuto. Se facciamo un’indagine per scoprire quanti la leggono davvero, le percentuali si fanno estremamente deludenti. Nella chiesa stessa si dà priorità ad altri aspetti, penso alla partecipazione alla messa, e il rapporto con la Scrittura Sacra resta solo sullo sfondo. Forse anche tra “gli addetti ai lavori” non ci sono molti grandi lettori.
Io, per esempio, appartenevo al novero di quei sacerdoti che la frequentavano senza conoscerla davvero.
Questa consapevolezza mi fu chiara dopo aver sentito una bella conferenza sulla Bibbia di Elena Bartolini De Angeli, una nota docente di ebraismo; lì capii che della Bibbia non sapevo nulla. All’indomani di quell’incontro le scrissi chiedendole di darmi qualche buon consiglio: lei mi suggerì di riprendere a studiare e mi invitò a leggere i libri di Paolo De Benedetti. Feci entrambe le cose e così cominciò una fase nuova della mia vita. Avevo 52 anni.
In che modo quel nuovo incontro ha cominciato a produrre un effetto trasformativo sul tuo rapporto con la Bibbia?
La grande novità per me è arrivata dal momento in cui ho cominciato a studiare approfonditamente le lingue antiche. Fino ad allora avevo frequentato la Bibbia, ma sempre utilizzando traduzioni di altri. Quando ho cominciato ad avere un accesso diretto al greco e all’ebraico antico è cambiato tutto. Finalmente avevo la possibilità di immergermi in quel libro senza mediazioni.
Questa novità mi ha fatto poi crescere l’interesse per tutte le traduzioni e tutte le interpretazioni.
E così, ogni volta che leggo un brano biblico, al mio incontro personale con il testo aggiungo lo stimolo di vedere come è stato pensato, visto, interpretato da tanti studiosi di ogni provenienza.
Mi piace entrare dentro questa vastità di pensiero.
Questo nuovo modo di incontrare la Bibbia in che modo ha cambiato la tua percezione del disegno divino?
Per l’ambiente culturale nel quale sono cresciuto e in cui, per molto tempo mi sono anche ritrovato, tutto è nelle mani di Dio; oggi invece penso che tutto sia partito dalle sue mani, dal suo cuore, ma che poi l’ha messo nelle nostre mani.
E questo modifica radicalmente il modo di stare al mondo: di fronte a un Dio onnipotente, che sistema tutte le cose, puoi non sentirti responsabile, ci penserà lui; di fronte a un Dio che dà il via alla vita, ma che poi si mette da parte per farci spazio, l’uomo diventa assoluto protagonista del suo destino.
Cosi io oggi non penso che l’obbedienza sia l’espressione massima della fede, ma credo invece in una responsabilità cosciente, che ci consente di imparare a gestire la nostra libertà.
Anche per questo hai cercato di portare l’attenzione delle tue comunità verso le grandi pandemie del presente: cambiamento climatico, guerra, grandi migrazioni?
Io credo che il vero culto che Dio ci chiede riguardi la cura del creato. All’inizio, Dio crea l’uomo e lo pone nel giardino chiedendogli di ‘custodirlo’ e di ‘coltivarlo’. Questi due verbi in ebraico hanno un significato più grande: sono i verbi del culto. Coltivare in ebraico è “abad”, ed è il verbo del servizio a Dio, “shamar” obbedire, l’altro verbo, vuol dire custodire i precetti, cioè obbedire ai comandamenti.
L’unico culto che Dio chiede all’uomo e alla donna è la cura del creato e della vita. Pensa che
questa cosa veniva detta quando i problemi legati al cambiamento del clima, all’inquinamento del cibo, alla deforestazione non c’erano affatto, perché allora non c’era la plastica, non c’era la benzina…
Dio non ci chiede le devozioni, le liturgie, gli incensi, ma ci chiede di prenderci cura del mondo.
Gianni, la Bibbia è una grande biblioteca e tu sei sempre a cercare, a trovare e frugare, ma, alla fine, Dio che cosa ha voluto dire all’uomo?
Il primo personaggio storico che si incontra nella Bibbia è Abramo. Le prime parole che Dio dice ad Abramo al capitolo 11 della Genesi sono le prime parole dette da Dio ad un uomo. Io immagino che a tutti gli uomini e a tutte le donne, Dio vorrebbe ricordare queste parole: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”. La parola “Vattene” in ebraico è lech lechà. Lech è l’imperativo del verbo “andare”, lechà significa “verso di te”.
I commentatori dell’Antico Testamento traducono quell’espressione con “Vivi secondo i tuoi sogni! Vai verso di te! Diventa te stesso!”.
I rabbini dicono che Dio non ti chiederà perché non sei stato come Mosè, non ti chiederà perché non sei stato come Davide, ti chiederà perché non sei stato te stesso! Ed io questa cosa la trovo
meravigliosa.
“Lech lechà”! Dio vuole l’uomo libero, innamorato, felice. Dio vuole che tu sia te stesso!