Prima Arturo Paoli e poi don Luigi Ciotti. In questa settimana Papa Francesco ha incontrato due tra i testimoni più appassionati e autentici della chiesa e del vangelo nel nostro Paese. Incontrati non vuol dire che li ha visti tra mille prelati, baciamano con foto ricordo e via. Significa che ha dedicato loro una udienza privata. Significa che si è confrontato con loro, occhi negli occhi, sugli spinosi temi della lotta alle ingiustizie, dell’aiuto alle persone più fragili…
Arturo e Luigi, come sapete, sono grandi amici di Romena. Ma soprattutto sono, per noi, e per migliaia di realtà come la nostra, dei punti di riferimento. So quanto possa essere stato anche simbolicamente prezioso, per loro, ricevere questo gesto di di attenzione e di ascolto da un Papa.
L’abbraccio di Francesco a Luigi, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera, sotto scorta da vent’anni per la sua azione contro le mafie e le ingiustizie, e a Arturo, 101 anni gran parte dei quali vissuti tra i poveri delle favelas, in Sudamerica, è il segno di una chiesa che si parla per nome e non per titoli, di una chiesa in cui la guida e i suoi più fedeli servitori camminano vicini.
Don Luigi ha ricordato tante volte di Michele Pellegrino, quel cardinale illuminato che gli assegnò per parrocchia la strada. “Era un cardinale che si faceva chiamare padre”, ha raccontato spesso per sottolineare come la sua fosse un’eccezione, non la regola.
Oggi finalmente, nella primavera di Francesco, troppe, inutili, spesso insopportabili distanze cominciano a cadere nel segno della forza più rivoluzionaria: la semplicità.
