E’ bastato un attimo. Entrare nella nostra pieve, guardarsi intorno. “Qui vorrei proprio suonarci”, ha detto con la sua voce calda,inconfondibile.
“Naturalmente gratis” ha aggiunto con una sottile linea di complicità sotto il baffo.
E’ nato così il concerto che Gianmaria Testa ci offrirà la sera di sabato 21 settembre. La sua musica nuda, chitarra e voce, le sue parole profonde, poetiche, entreranno in una chiesa che spesso le ha accolte nei momenti di incontro e di preghiera. La serata sarà quindi un incontrarsi vivo tra chi già si conosce, e, in fondo, si assomiglia. Un incrocio di destini, quindi, oltrechè di creatività e bellezza.
21 settembre, ore 21, dunque, questo l’appuntamento. Chiunque potrà partecipare. L’ingresso sarà libero ma con la richiesta per chi vorrà e potrà di un’offerta da destinare alla realizzazione dell’auditorium della fraternità.
Quando io e Gigi abbiamo mostrato a Gianmaria e alla moglie Paola la struttura, ancora incompleta, e abbiamo raccontato il nostro progetto di farne un luogo dove incontrarsi e ascoltare testimonianze, parole, ma dove far vivere anche l’arte,è stato naturale pensare a questo: una serata di musica a sostegno di un sogno, del prossimo passo della fraternità.
L’arrivo di Gianmaria a Romena, assomiglia per tanti aspetti a quello, alcuni anni fa, di uno dei suoi grandi amici, Erri De Luca.
Anche in quel caso l’incontro a Romena fu il realizzarsi, vivo, per noi, di una vicinanza che esisteva da tempo: in quel caso, attraverso i suoi libri.
Ed è proprio con le parole di Erri, allora, che vogliamo presentarvi la voce, la musica e ancor più lo stile di Gian Maria.
Il ritratto che gli ha dedicato, “L’uomo a vapore”, si lega al fatto che Gianmaria faceva il capostazione a Cuneo e ha continuato a farlo per molto tempo, anche quando, era diventato un artista amato e conosciuto in tutta Europa prima ancora che in Italia…
L’UOMO A VAPORE
di Erri De Luca
L’uomo del turno di notte, in divisa, al neon di un ufficio che dà sul primo binario è un capostazione, non viaggia, sta.
E’ una notte d’inverno, la nebbia surgelata assedia Cuneo.
Rari dispersi vanno a moscacieca, uno riempito a vino, uno spaesato che ha mancato i treni. A sbirciare dentro la stanza pallida vedono un ferroviere di sentinella al traffico notturno dei convogli. Registra nomi e numeri di locomotive mentre passano sfondando il banco della nebbia. L’acciaio delle ruote sul liscio del binario stride sotto il morso dei freni, l’attrito fa schizzare qualche scintilla fredda.
Nella stanza, appoggiato a una sedia c’è un attrezzo che spiazza l’arredo. Da fuori l’ubriaco strizza gli occhi, la miopia del vino, rinuncia, sa d’intendere male e di essere frainteso. Lo spaesato mette meglio a fuoco; è una chitarra.
Si capisce quando il ferroviere se la mette in braccio.
Buffo strumento una chitarra: vuole polpastrelli a stringerle le corde e altre dita che le diano pizzichi, manca solo che chieda di essere baciata per suonare.
Ma sì, è baciata, il ferroviere spiccica dalle dita una melodia e ci mette sopra la voce come il fiato di un bacio. Canta sommesso, stringe, come la nebbia fa col suo paese.
La voce avvolge la chitarra, porta la canzone. Chi è locomotiva e chi vagone tra la chitarra e il canto? Un verso di Yeats chiede: “How can we know the dancer from the dance?”: come possiamo noi distinguere il danzatore dalla danza? E però dobbiamo, perché la danza è nebbia e il danzatore il luogo sul quale essa si posa. Perché così fa il canto sopra la chitarra.
In mille e una notte come questa Gianmaria Testa ha scritto le canzoni da spargere, da sporgere, in altre mille sere di concerti in cortili e palazzi della musica. Le sue canzoni vengono dai turni di notte, sono piene di veglie sopra il sonno degli altri, sono della stessa materia del sonno perduto, in sostituzione dei sogni.
Chi è stato nei turni di notte, chi ha avuto salario pagato dall’obbligo d’insonnia, si appoggia con più forza sopra il gomito mentre le ascolta. C’è tra di noi questo vuoto di sonno a fondamento. La sua voce ha l’aria di arrivare da lontano e cantare soltanto per potere ascoltare una voce, per azzittire quelle che si affollano nella testa dei momenti folli e azzittiscono tutti. Ci sono notti che sono canti, crolli, come un pendio di neve sotto una valanga.
La voce di Gian Maria si è allenata a salire di forza e di volume fino a farsi sentire in piena frenata di un treno, poi si è esercitata ad abbassarsi fino alla soglia di soffio, per non sffocare la prima luce, annunciazione di turno finito.
La sua voce ha una forza compressa che lui rilascia a sorsi, ha l’apnea del sommozzatore che ha scorta di ossigeno. Fa dimenticare che l’aria è a maggioranza azoto.
Lo ascolto, qualche volta pure canto insieme, cercando il punto in cui riaffiora a respirare, non lo trovo. E’ un uomo a vapore Gian Maria Testa, una locomotiva d’altro secolo, viene da un coro che si è sbriciolato e l’ha lasciato solo a continuare.
Canta la fermezza del disertore di Boris Vian da soldato di guerre perdute, perché i soldati le perdono tutte. Canta mongolfiere, carezze, migratori, chisciotti, uomini e donne al riparo improvviso di un amore, canta pure quando solo parla, legge una pagina che gli è stata cara.
Esiste una musica odierna ultraleggera, più dell’aria, come i gas inerti coi quali si gonfiano palloncini. E poi esiste una musica che dà peso al vento e gli fa riempire le chiome degli alberi e delle donne. Gian Maria fa questa.