Papa Francesco ogni giorno ci invita a mettere in discussione le nostre vite, a scuotere le nostre coscienze assopite, a riscoprire, nella sua essenza, il vangelo. Nel suo stile, nei suoi modi ci ricorda la semplicità e l’autenticità di tanti preti di strada. Ed è a un prete di strada speciale, don Luigi Ciotti, che abbiamo chiesto di lui.
Che cosa significano questi cinque anni di Francesco nel cammino della chiesa e della società?
Un salutare scossone sulle vite e sulle coscienze di molti. Uno scossone che promette di non assestarsi, se è vero che non passa giorno senza che il Papa richiami la necessità di metterci in discussione, di riconoscere i nostri limiti e le nostre contraddizioni, d’impegnarci di più per costruire giustizia e di farlo insieme, perché solo nel “noi” il desiderio di cambiamento diventa forza di cambiamento.
C’è chi ha parlato, a riguardo, di “rivoluzione”. Trovo più appropriata la parola conversione: quello auspicato da Francesco è un ritorno al vangelo, alla sua essenzialità spirituale e alla sua intransigenza etica. La Parola di Dio è certo Parola di amore e di perdono. Ma è anche Parola che pungola e sprona, che richiama alla responsabilità, al prenderci carico delle vite degli altri quando sono prive della dignità e libertà che le rendono umane. Questo vale anche per la Chiesa: in un passo molto bello della Evangelii Gaudium, Francesco sostiene di preferire una Chiesa «accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade a una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze».
E nel cammino tuo e dei preti di strada? Cosa significa avere per interlocutore, come vertice della chiesa, un Papa come Bergoglio?
Significa molto in termini d’incoraggiamento e di sostegno a un cammino che alcuni vertici ecclesiali hanno guardato a volte con pregiudizio e persino insofferenza. Ma significa anche la gioia di vedere una Chiesa che ha nel proprio pastore la più credibile e coerente espressione dello spirito evangelico.
Qual è la caratteristica del Papa che ti emoziona, che ti coinvolge e convince di più?
La sua schiettezza, la sua capacità di parlare con parresìa, senza reticenze o ambiguità, secondo la voce del cuore e della coscienza. È un Papa che ama e cerca la verità, come insegna Gesù, e che vede nella ingiustizia, nella perdurante offesa ai poveri, la sua più eclatante negazione.
Tu lo citi spessissimo nei tuoi interventi. È impossibile entrare nel merito, ma che cosa ti colpisce soprattutto della sua visione del mondo, espressa per esempio nella Laudato sì?
L’ampiezza e la profondità della visione. Il concetto fondamentale è quello di “conversione ecologica”. Che non significa semplice rispetto dell’ambiente, ma consapevolezza che la terra è il primo dei beni comuni e che non c’è forma di vita, a partire dalla nostra, che non sia legata alle altre in una reciprocità che richiede riconoscimento, giustizia e amore. Il grido della terra offesa è lo stesso dei poveri a cui viene negata giustizia. È una prospettiva educativa e, in senso lato, politica, con cui siamo tutti chiamati a confrontarci.
Alle battaglie di Libera contro la mafia, contro la corruzione, per la giustizia, che contributo ha dato in questi anni il Papa?
Un contributo enorme, su tre diversi piani. Di testimonianza e presenza viva, con un’attenzione che non è mai venuta meno e che ha toccato il culmine nell’emozionante incontro con i famigliari delle vittime innocenti delle mafie a Roma, nel marzo 2014.
Sul piano dottrinale e “politico”, con la “scomunica” delle mafie e dei loro complici il 21 giugno dello stesso anno a Cassano allo Jonio. Ma anche – non meno importante – sul piano culturale. Altri Papi hanno denunciato l’incompatibilità fra le mafie e il Vangelo, ma l’ostinata denuncia di Papa Francesco scaturisce da una visione che mi permetto di giudicare più ampia.
Il Papa ha capito che le mafie traggono forza da due fattori. Da un lato la corruzione morale e materiale, che inquina le relazioni e deruba le speranze. Dall’altro un sistema finanziario che ha perso, salvo eccezioni, ogni senso etico e legame col bene comune. Francesco ha colto il nesso tra le mafie e una «economia di rapina», incurante dei bisogni delle persone, colpevole di disuguaglianze sempre più inaccettabili. La sua denuncia si lega insomma a un disegno al tempo stesso etico, politico ed economico, teso ad affermare la dignità inviolabile della persona contro la sua riduzione a numero, a strumento, a proprietà.
E sul fronte dei migranti, dell’accoglienza?
È forse il maggiore cruccio di chi si è definito «Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti». Il Papa conosce bene, per averlo vissuto in famiglia, il dramma della povertà e dell’emigrazione. E giustamente ritiene quella dei migranti la partita in cui si decidono le sorti dell’Occidente scaturito dalla civiltà europea. Una civiltà che rischia di dimenticare la sua anima e i suoi ideali, come ha ricordato ricevendo nel maggio 2016 il premio “Carlo Magno” di fronte a tanti leader occidentali. «Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia» ha detto in quell’occasione, e se pensiamo alla vergognose partite politico-economiche giocate sulla pelle dei migranti in Turchia o in Libia, c’è da chiedersi quanto l’attuale classe dirigente internazionale sia capace anche solo di concepire quelle utopie senza le quali la politica è lettera morta, pigra gestione dell’esistente, spartizione di potere.
La nostra chiesa ha saputo tenere il passo di Francesco?
È un passo esigente: tenace e costante, ma capace anche d’improvvisi scarti e accelerazioni. La fede a cui richiama il Papa non ha nulla a che vedere con quella, ha detto, dei «cristiani da salotto», perché imperniata in un’etica di radicale fedeltà al Vangelo.
Sin dall’inizio ha parlato di «Chiesa in uscita», di «Chiesa povera per i poveri», di «Chiesa purificata dal potere». Una profezia che ha trovato l’entusiasmo e l’impegno di molti, a diversi livelli, ma anche, ad altri livelli e settori, mugugni, ostacoli, fronde interne, giochi di potere.
E noi, oggi, come possiamo aiutarlo, come possiamo sostenerlo nel suo cammino?
Innanzitutto non caricandolo di tutte le nostre aspettative, pensando che sia lui a toglierci le castagne dal fuoco, purificare la Chiesa dai poteri e al tempo stesso sollecitare i potenti della Terra a politiche rispettose del bene comune e della dignità umana. Il messaggio del Papa esclude la delega. Chiede un risveglio delle coscienze tradotto in responsabilità. Chiede che tutte le persone oneste e volenterose, credenti e non credenti, si diano da fare per costruire un po’ di giustizia in questo mondo.
Il cambiamento parte della piccole cose,
da questo spendersi senza riserve,
da questo non lasciarsi perdere
nei momenti di scoraggiamento.
È ora di trovare il coraggio della parola,
di voltare pagina,
di aiutare le persone ad assumersi
le proprie responsabilità.
Il resto ce lo metterà, come sempre, il Padreterno.
Luigi Ciotti
Tratto dal libro “Semplicemente grazie”, pubblicato in occasione del quinto anniversario dell’elezione di Papa Francesco, Edizioni Romena, 2018.