Ricordo benissimo quella conferenza, 17 anni fa, a Prato. Quella sera Arturo Paoli mi fece comprendere come non mai chi fosse Charles De Foucauld, e quale fosse stato il valore delle sua opera.
All’epoca padre Charles stava per essere proclamato Beato. Oggi, nel giorno in cui Papa Francesco sta per farlo santo, mi piace recuperare l’articolo che scrissi allora per la nostra rivista, e soprattutto rileggere le parole del grande Arturo, che all’epoca stava per concludere la sua missione di una vita in Sudamerica, sulle orme di fratello Charles…
“Ogni giorno sono sempre più contento di essere un suo discepolo”. Prato, novembre 2005. Alla viigilia della beatificazione di Charles De Foucauld, Arturo Paoli, uno dei grandi profeti semplici di questo tempo, ricorda volentieri il suo maestro. Fu proprio l’incontro con uno dei piccoli fratelli di frère Charles nel 1954 a imprimere una svolta alla sua vita di religioso: a scegliere di stare con i poveri condividendo i loro problemi, la loro ansia di giustizia, ma anche la loro gioia semplice.
E così è stato contadino tra i contadini e boscaiolo tra i boscaioli dell’Argentina, del Venezuela, del Brasile. “Non mi sono mai pentito di quella scelta” dice oggi, mentre porta con leggerezza i suoi 93 anni. “In casa mia non ho sofferto la povertà però ho capito che la scelta di Gesù è una scelta dei poveri e che bisogna essere poveri per stare dietro a Lui”.
Quella scelta, in frère Charles, all’epoca giovane militare in carriera, era maturata con la forza di una frase. Quella pronunciata dall’uomo che sarebbe diventato suo padre spirituale, l’abbè Huvelin durante una predica: “Gesù ha scelto l’ultimo posto e nessuno glielo può levare, perché nessuno desidera l’ultimo posto nella vita”. È una frase che accende la sua vita interiore, e lo libera dal senso di vuoto che lo perseguita. “Frère Charles – racconta Arturo – sente che essere cristiano è la cosa più semplice del mondo: basta servire Gesù. E per seguire Gesù bisogna trovarlo dov’è cioé all’ultimo posto”.
Frere Charles vive la sua vocazione fuori dalle strutture ecclesiastiche, la vive da eremita in Siria, in Palestina, infine in Algeria, nel deserto. Ed è lì, stando vicino ai tuareg, che culmina la seconda tappa del suo cammino spirituale: “Da un amore concentrato sul simbolo di Gesù nell’eucarestia, si sente chiamato verso gli altri. E sente che non può convertirli, ma essere testimone di questo infinito, tenace, ostinato, fortissimo amore di Dio verso tutte le creature. Non deve cercare di trasmettere la sua religione ma piuttosto di far sentire loro che sono fratelli suoi, carne della sua carne”.
Per questo frère Charles studia a fondo gli usi e i costumi di quella gente, impara la loro lingua. La sua missione non è convertire, ma condividere: “Sente che la sua ricerca deve essere indirizzata verso il senso che ha avuto la vita di Gesù: quello di incarnare l’ amore di Dio nell’ umanità. E allo- ra con la sua vita testimonia che Dio è in mezzo a noi e ci ama profondamente”.
Nato a Strasburgo nel 1858, fratel Carlo morirà il primo dicembre del 1916. 90 anni dopo il suo messaggio è vivo come non mai. Come ci dice con grande chiarezza fratel Arturo nella parte conclusiva del suo intervento, che riportiamo per intero.
“Che cosa trasmette a noi dell’anno 2005 Charles De Foucauld?
Prima di tutto ci trasmette l’universalità della fede. Ci dice che l’universalità della fede non sta nella dottrina.
Sappiamo che la religione quando è concentrata unicamente sulla dottrina è causa di discordie, è causa di separazioni, di guerre. Guardate cosa succede in parlamento, o all’Onu: quando gli uomini pensano di intendersi su una dottrina, su una teologia, su una ideologia è scontro, ne- cessariamente, inevitabilmente scontro.
E questo non accade perché siamo cattivi, ma perché l’intesa su opinioni, su idee, su convinzioni personali è praticamente impossibile. Il Papa Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato ha chiamato ad Assisi rappresentanti di varie religioni del mondo: se gli avesse detto “vi ho chiamato qui per vedere se ci troviamo d’accordo”, guai. Invece ha detto, vi ho chiamati qui perché preghiamo insieme per un valore comune: la pace.
Ecco l’universalità della fede: se noi viviamo l’essenza del cristianesimo, quella che frére Charles ha preso dall’Eucaristia, cioè dare la nostra vita per gli altri, amare gli altri, allora è possibile un mondo di pace.
Il cattolicesimo, anche se ben predicato, anche se ben annunziato, non sarà mai universale, è impossibile. Quando Gesù dice “ci sarà un solo gregge, un solo pastore”, parla del pastore che darà la vita per le sue pecorelle, non parla del pastore teologo, che pronuncia encicliche, che deve farlo, certo, ma in ciò non ci sarà mai un principio di unione.
Il credo non unirà mai le persone, mai, è l’amore che unisce le persone, solo l’amore. Questa è la grande forza umana, non esiste altro amici, solamente l’amore.
Solamente sentirsi fratelli, ma non sentirsi e basta, vivere come fratelli, sentirsi responsabili dei propri fratelli, accettarli perché sono fratelli, perché sono figli dello stesso padre, quello può portare la pace nel mondo. Nessuna teoria, nessun progetto politico potrà portare la pace: la pace è frutto dell’amore.
Attenzione: l’amore non è una forza che va da me verso gli altri: quello non è amore, quella è beneficenza, è elemosina. L’amore è accettazione dell’altro. Carlo De Foucauld accoglie per anni il Gesù dell’Eucarestia e gli dice continuamente che lo ama ma l’amore lo trova quando esce fuori, quando va incontro ai tuareg. Allora comincia ad amare. Prima era un amore che partiva da lui e andava verso Gesù: e pensava che Gesù gli corrispondesse. E Gesù gli corrisponde, ma di- cendogli “vai, esci, vai fuori, vai incontro ai tuoi fratelli perché l’amore è lì”.
L’amore solitario è egoismo camuffato. Quando si dice io amo gli uomini, è come quando una moglie dice sono la migliore moglie del mondo. Va be’, vien da dire, forse dovrebbe dirlo il marito. Non si può amare in una direzione unica, l’amore è dialogo, l’amore è accettazione dell’altro, l’amore è alterità.
Un grande psicologo ha detto “io sono gli altri”. Sono gli altri che formano il mio “io”, gli altri che mi fanno generoso, attento, altruista, capace di donarmi, sono gli altri, sono i poveri. Ecco cosa ci dice Carlo De Foucauld: “Sono loro, gli altri, i poveri che mi hanno formato. Sono loro”.
E quando oggi i vostri ragazzi, i vostri figli vi dicono che non vanno più in chiesa, hanno ra- gione. E voi non spingeteli nel tempio: mandateli a fare un’esperienza dei poveri. Che comincino di lì. Allora si può trovare Dio, si può trovare la Chiesa.
Perché in un mondo così egoista, così egocentrico, così individualista, dov’è Dio? Se Dio è là dov’è la carità e l’amore, dov’è Dio? Allora pensiamoci, decidiamo qualcosa di nuovo, qualcosa di più audace. Quest’uomo ha dato tutta la sua vita per amare perché ha scoperto che Dio è amore, unicamente amore, non può essere altro che amore.
E questo deve aiutarci in questo nostro Occidente che sta morendo ma che, lo spero, possa resuscitare al calore dell’amore”.