Il blog di Romena, a cura di Massimo Orlandi

Ciao Giuliano, amico giullare

La notte scorsa Giuliano ha sperimentato su di sè la fiducia in Dio, dopo che ne aveva dimostrata tantissima per la vita. La sua luce non è spenta affatto, palpita nel cuore di tutti noi. Giuliano Fantechi è stato collaboratore per tanti anni della Fraternità. Nato a Pelago (Fi), Insegnante di professione, giullare per vocazione, da undici anni aveva ingaggiato una dura battaglia con la malattia, ma aveva saputo cogliere questa difficoltà come opportunità per entrare ancor di più nel cuore della vita. Aveva voluto condividere le sue scoperte in due libri, “Solo briciole di pane” e “Vivere la magia del tuttopossibile” nei quali si era raccontato utilizzando lo strumento delle fiabe. Vorrei condividere questi pensieri su di  lui che gli ho rivolto, oggi, dopo aver saputo della sua morte.

 

Dove vanno le carezze?
Era uno degli ultimi momenti conviviali, pochi amici in casa, le ultime provviste di energie.
E una delle ultime domande che hai voluto fare alla vita, a questa vita, era stata di chiederle dove avresti potuto ritrovare, nella vita oltre, l’ennesimo gesto d’amore di Grazia.

Quella domanda rappresentava bene il bilico in cui ti sei trovato in questi ultimi undici anni. Lo avevi detto tu che ti sentivi continuamente sospeso sul filo dell’equilibrista, e che consideravi un grande dono il fatto di averci potuto camminare tutto quel tempo, superando di gran lunga verdetti medici e annunci di scadenze.

Ma oggi no. Oggi, qui di te, è rimasto il tuo corpo segnato, non di certo l’anima, che ha saputo sempre volarci sopra, riuscendo a giocare con tutto, perfino con la malattia.
Oggi di te resta sì, questa nuvola di morte, ma sovrastata da un profumo così inebriante e allegro, che diventa persino difficile piangerti.

Ciao Giuliano. E’ stato un grande privilegio conoscerti e fare qualche bel pezzo di strada con te. Ho sempre amato questa tua leggerezza del dare, questa disponibilità attenta, questo stare in tutte le situazioni in maniera concreta, propositiva, vivace, senza pregiudizi.
Hai accompagnato per anni il cammino di Romena, e contribuito a realizzarlo, hai dato il via al percorso di Santa Maria a Ferrano, sei stato anima anche della comunità di San Pancrazio.
E prima, nella parte di vita che conosco solo dai tuoi racconti, ti eri messo a disposizione di altre realtà, comunità, parrocchie, di varie realtà associative della società civile. Avevi sempre tenuto le maniche ben arrotolate: su di te si poteva sempre contare.

Ma quello che è più bello è che tu sei sempre stato uno, monos, la stessa persona in tutti i tuoi ambienti: un insegnante che sapeva giocare con i suoi studenti e farsi amare, un padre e un marito meraviglioso, una persona che voleva svolgere bene il suo compito nella società.
Accidenti, però, Giuliano, se parlo così di te, tutti penseranno che sto scrivendo un santino. Ma cosa faccio, fingo?

La parte più bella della tua vita e quella più brutta si sono poi mescolate insieme negli ultimi undici anni. Da quel giorno di giugno del 2006 in cui ti misero addosso un bollino con annessa scadenza dicendoti che avevi addosso il drago più temuto.
E’ in queste situazioni, credo che si riconosce il cammino di crescita di un uomo. Tu non ti sei limitato ad accettare il corpo a corpo fisico mettendoti a disposizione di tutte le terapie che potessero aiutarti, ma hai soprattutto iniziato un profondo cammino di crescita interiore. Ed è così che hai trovato dentro il bambino perso per strada da molti di noi, il bambino che voleva essere coccolato e rassicurato. Il bambino che voleva ascoltare delle storie.

Le storie, prima sei andato a cercarle, e poi hai cominciato a trovarle, dentro di te.
“Io mi sento come un giullare che danza su un filo sospeso” dicevi di te.

Negli ultimi anni quel giullare ha danzato sulla vita e sul rischio di perderla, ha giocato con la sua anima bambina, ha arricchito di bellezza chiunque lo abbia avvicinato. “Quello che ho capito – dicevi – è che quando il verdetto è pronunciato, il gioco della vita non finisce. Ci sono tante strade che si aprono, e io vorrei mostrarle.

Poco prima dello scorso Natale ci siamo incrociati nel cammino di pubblicazione del tuo libro di favole, “Vivere la magia del tuttopossibile” .
Sapevi che ti stavi giocando le ultime carte ma quel libro doveva nascere perché non serviva a te, serviva a far capire ciò che avevi scoperto della vita, era il frutto delle tue esperienze di equilibrista, era la parte più profonda della tua eredità.

“Nel mondo delle fiabe – scrivesti nella presentazione – ho incontrato un bambino, il mio bambino interiore,. Era ferito, dimenticato, trascurato. Siamo diventati amici. Mi sono preso cura di lui. Ci siamo raccontati tante storie. Quel bambino ora sta bene”.
Quelle parole sono il tuo autoritratto maturo. Non a caso, quando la tua voce si è fatta un sussurro, l’ultimo, le hai pronunciate di nuovo. “Sono contento” hai detto. Volevi far capire alle persone che ti hanno amato di più, che il tuo percorso di consapevolezza era stato più forte di tutto, più forte del male che ti cingeva d’assedio, che la tua gioia nasceva dall’affidamento più totale, più assoluto al Dio della vita. Che eri contento dalla tua vita e di chi l’aveva condivisa con te.

E ora? Ora penso al tuo sguardo e, mannaggia Giuliano, mi viene sulle labbra un riso leggero. Ora ti guardo con il cappello da giullare, e ti vedo saltellare dentro una della tue fiabe.
Ora penso a Grazia, e alle tue ragazze Elena e Giulia, e immagino che tu stai già cercando la strada per restare nelle loro vite, non come un’assenza, non solo come un ricordo, ma come un orizzonte: un orizzonte colorato, giocoso, sorridente, divertito.
Ora so, sento, che quel bambino interiore che tu hai liberato, scorrazza felice per le vie dell’infinito.

Ti voglio bene amico mio

Massimo