Che messaggio ci arriva dalla “Piazza del Mondo di Trieste”? Cosa ci dice sul nostro presente, sui comportamenti della nostra società, su ciò che ciascuno di noi potrebbe fare per contribuire a rendere questo mondo un po’ meno individualista, un po’ più umano?
A margine dell’uscita del mio libro “La rivoluzione della Cura”, vi propongo una serie di incontri, di riflessioni, di pensieri che riguardano l’esperienza di accoglienza ai migranti della rotta balcanica che viene praticata a Trieste a partire dalla cura dei piedi martoriati dopo viaggi di migliaia di chilometri (i migranti arrivano da Paesi come Afghanistan, Pakistan, Siria, Bangladesh).
Oggi ascoltiamo la voce di Marianna Buttignoni, una delle attiviste ‘storiche’ dell’associazione, sempre in prima fila per le esigenze dei ragazzi migranti.
Qui trovate alcuni passaggi dell’intervista, più in basso, l’intervista integrale pubblicata su Youtube.
Non sono solo immigrati, sono in primo luogo persone
“Noi siamo in piazza, come “Linea d’ombra”, dalla fine del 2019, io dall’inizio del 2020. Stare in piazza è un momento squisitamente politico, è il riconoscimento del fatto che le persone che arrivano non sono solo immigrati, non sono solo transitanti, sono in primo luogo persone.
Penso che l’attività in piazza sia sicuramente necessaria per i ragazzi in transito, ma sia ormai necessaria anche per noi, perché è un momento di resistenza quotidiana.
Il mondo che vedo spesso non mi piace, mi piace perciò cercare di fare un passo al giorno nella direzione giusta. La piazza mi sembra il posto giusto per fare quel passo”.
La nostalgia dei ragazzi
“Dovrebbero restare a casa? Certo! Dovrebbero ‘poter’ restare a casa. Me lo dicono anche i ragazzi: “Tu pensi che io vengo qua volentieri? Tu pensi che non sia pesante per me aver lasciato il mio paese, la mia famiglia, i miei affetti?”
La nostalgia li accompagna continuamente.
Non sono persone che vengono perché vogliono venire: sono persone che vengono, perché devono venire, perché vogliono sopravvivere”.
Una piazza piena di speranza
“La piazza è un posto pieno di speranza. I ragazzi che arrivano hanno appena superato un esame, il game. Una selezione durissima. Quante volte l’hanno fatto? Una, quasi mai, dieci, quindici, a volte anche di più. E spesso quel cammino ha avuto anche un costo non da poco: l’umiliazione di essere spogliati dei propri vestiti, l’essere derubati, l’essere privati delle scarpe, talvolta manganellati. Ho visto schiene che portavano segni di frustate con le cinture.
Mi chiedo: è questa l’Europa? Cioè, noi difendiamo i confini dall’arrivo di ragazzi così, magari di un ragazzino afgano di sedici anni?”
La rivoluzione della Cura
“Sono estremamente grata del fatto che si sia uscito un libro. Gli interventi sulla stampa o in Tv son tutte cose che passano, il libro è qualcosa che resta, qualcosa che io vi inviterei a regalare ai vostri amici per Natale, perché ci sono tante storie, tanti piccoli dettagli. Alcune storie non le conoscevo neanch’io, il libro è stato fonte di un’ulteriore ricchezza”.