Il prossimo convegno di Romena, in programma sabato 6 e domenica 7 maggio, dedicherà alcuni dei suoi momenti centrali al pensiero, alla vita, all’opera di don Lorenzo Milani, a cento anni dalla sua nascita.
In particolare don Milani sarà presente attraverso lo spettacolo “Cammelli a Barbiana” del bravissimo attore pugliese Luigi D’Elia, e grazie alle testimonianza di alcuni giornalisti e scrittori (come Sandra Gesualdi e Mario Lancisi) la cui vita è stata fortemente influenzata dall’incontro, benchè indiretto, con il priore di Barbiana.
In vista di questo appuntamento ho fatto un mio personale, anzi familiare pellegrinaggio alla scuola di Barbiana, che ha ispirato anche l’articolo che apre il nuovo numero della rivista di Romena “Un cuore acceso”. Lo condivido volentieri con voi.

Questo giornalino comincia in una stanza piena di foto.
Sono foto in bianco e nero, ritraggono ragazzi che studiano, che fanno sport all’aria
aperta, che si esercitano in vari mestieri. Sono foto di una scuola povera, ma di una ricchezza inestimabile.
Scuola di Barbiana, nel Mugello. Non so se il cuore è acceso, ma di sicuro palpita forte,
perché qui è tutto vero, tutto intatto, senza fronzoli, senza aggiunte posticce.
Ho appena visitato la piccola aula dove gli allievi di don Milani trascorrevano giornate
a studiare ed esplorare, e dove ogni oggetto, ogni libro, porta addosso i segni di quella
voglia di apprendere; sono poi sceso nel laboratorio, con gli arnesi e gli utensili costruiti
dai ragazzi perché ciascuno potesse imparare una professione o almeno sperimentarla.
Resta l’ultima stanza, quella della mostra fotografica.
Mi soffermo sulle espressioni dei ragazzi, li osservo, uno ad uno, e c’è una nota,
la stessa, in tutte le foto: hanno uno sguardo vivo, fiero, lo sguardo di chi vuol comunicare
la gioia di esser parte di quella storia. All’epoca i contadini erano figli di un dio
minore. La scuola era un lusso evitabile, il bisogno forzava tante famiglie a spingere i
ragazzi nei campi, più che sui libri. I padroni utilizzavano quella ignoranza per mantenere
il divario culturale e sociale, a garanzia dei loro privilegi.
In altri contesti scolastici quei ragazzi, fotografati, avrebbero avuto un’aria smarrita, il
capo chino: l’aula era il luogo che rispecchiava la loro presunta inferiorità.
Qui no. Gli occhi di tutti quei ragazzi comunicano lo stupore di chi sente che quel luogo
non è solo una scuola: è uno scrigno di possibilità.
Grazie all’incontro con quel maestro speciale hanno scoperto che la partitura della
loro vita è tutt’altro che scritta, anzi. In quelle foto i ragazzi fanno capire chiaramente
che ciò che hanno imparato non vale solo per superare un esame: grazie allo studio
hanno scoperto che la vita ha margini enormi e che, in quegli spazi sconfinati, c’è spazio
anche per i loro sogni.
Come sarebbero i nostri occhi, oggi, se potessimo vederli in quella stanza? I nostri sguardi,
alla riprova delle foto, risulterebbero meravigliati, o svuotati? Infuocati di passione, o
abulici? Saremmo veri, o in posa?
C’è un tasto semplice, “on-off”, che stabilisce quando il nostro cuore è acceso e quando è
spento.
Il cuore è acceso quando sentiamo di riuscire a trainare la nostra vita, è spento quando avvertiamo invece che siamo trainati; è acceso quando percepiamo la presenza di un orizzonte, anche quando non lo vediamo, è spento quando ci muoviamo, con fatica, solo per reagire alle circostanze, agli impegni, alle condizioni esterne.
La differenza sta in una facoltà che tutti noi abbiamo, ma che non sempre rendiamo disponibile: è lo stupore.
Lo stupore è quella molla che, invece che farci affondare nelle secche del presente, ci spinge sempre un po’ più in là; è un movimento che possiamo attivare tutti, se manteniamo un patto di autenticità con noi stessi, ricercando sempre ciò che la vita ci chiede, più che ciò che ci impongono le condizioni del momento.
In questo momento storico tutto depone per il pulsante “off”. Oltre agli impedimenti soliti, le attività quotidiane vissute con frenesia, il tempo spremuto e raramente goduto, ci sono anche le condizioni esterne: crisi sociali, economiche, ambientali, guerre, pandemie. Sembra tutto enormemente più grande delle nostre misere forze, tutto in grado di giustificare il nostro atteggiamento di rinuncia.
Eppure è proprio ora che la storia, sia personale che collettiva, ci chiede di fare il movimento inverso, quello che conduce al tasto “on”.
In un articolo di questo giornalino Simona Atzori ci racconta di un suo momento difficile, durante l’adolescenza: “Ero dentro a un tunnel – ricorda – ma tenevo gli occhi sempre aperti: sapevo che un giorno il tunnel sarebbe finito e solo se avessi tenuto gli occhi aperti avrei potuto vedere la luce”.
Ecco come si tiene acceso il cuore. Con occhi sempre aperti. Aperti e vogliosi di sentire e di sapere.
La partita tra ciò che è e ciò che potrà essere, tra ciò che vediamo e ciò che per ora si nasconde, è sempre aperta. C’è una quota perenne di inatteso, di imprevedibile, di inimmaginabile, a disposizione di tutti.
Non dimenticate mai l’immensità della vita: non so se Lorenzo Milani lo disse mai ai suoi ragazzi. Ma anche in questo consisteva la sua lezione.
Massimo Orlandi