
La notizia della morte di Christian Bobin ci ha preso il fiato. Era uno scrittore che ci parlava al cuore,
che ci ispirava, che sapeva raccontare, con una originalità e una delicatezza unica, ogni sfumatura dell’esistere. Le prime parole che mi sono venute, per ricordarlo, hanno preso spontaneamente la forma di una lettera a un amico, un amico di Romena. Perchè così lo abbiamo sempre sentito.
Caro Christian,
quanto sei stato presente tra di noi senza averti mai incontrato!
Eri con noi tutte le volte che cercavamo spunti, idee, intuizioni per i nostri incontri.
Eri in tutte le nostre pubblicazioni, che fossero nuovi libri, testi di veglie, agende. A volte dovevamo limitarci perché le tue frasi provenivano da uno spazio di bellezza incomparabile al resto, ed era dura non selezionarle tutte.
Ti leggevamo con discontinuità perché i tuoi libri non tolleravano la presenza sovrabbondante del lettore; chiedevano di essere distillati con cura: era una delicatezza necessaria per poter cogliere ogni particolare.
Molti pensavano che fossi un amico o un frequentatore dei nostri spazi tanta era la frequenza con cui ti citavamo; fra Giorgio, in particolare, ti chiamava “il mio Bobin”. Lui, frate cappuccino, era rimasto incantato dal tuo libro su San Francesco e, da quel momento, ti aveva fatto entrare in ogni suo spazio di bellezza. Ieri, sono certo, era ai primi posti, nella fila di chi ti ha accolto nell’oltre.
Io ti avevo conosciuto attraverso un articolo della nostra Maria Teresa Abignente. Sono molto sensibile ai suoi consigli letterari, ma in questo caso ciò che mi aveva colpito era anche la tua storia: la storia di uno scrittore che vive tutta la sua città in una piccola città di provincia della Francia, Le Creusot, neanche apparentemente accattivante, e che trova ispirazione in ogni sfumatura del quotidiano, che sa leggere ogni dettaglio attraverso cui la vita, la vita vera, ci parla. Questa tua capacità unica di trasformare in meraviglia le sfumature di ogni istante l’avresti poi spiegata con una delle tue imperdibili frasi: “Alla nascita una fata si è chinata sulla mia culla dicendomi: ‘Assaporerai una parte minuscola di questa vita e in cambio la percepirai tutta’”.
Era bello anche cercarli, i tuoi libri. Non erano pubblicati dai colossi editoriali, ma da piccoli editori, quelli che ti avevano scelto perché che ti amavano di più. Penso a Giuseppe Conoci, che era partito dalla Puglia e si era presentato a casa tua per conoscerti di persona. Era stato così bello, naturale e pieno di entusiasmo quel gesto che “Anima mundi” la sua piccola casa editrice, era diventata lo spazio di diffusione di molti tuoi scritti in Italia.
Avremmo dovuto replicare il gesto di Giuseppe. Non era difficile trovarti, visto che non ti muovevi quasi mai dai tuoi spazi. Ci sarebbe voluto un azzardo e un pugno di giorni. Ci siamo invece fermati all’idea di farlo, appagandoci di una conoscenza vera come quella che comunque ci consentivi attraverso le tue parole.
Però ora ci manca uno sguardo, un sorriso, una piega del volto da affiancare alle tue parole.
Un anno fa, però, ci siamo sfiorati. “Gigi, Massimo, perché questo libro non lo facciamo insieme?” La proposta di Giuseppe Conoci, che ci è amico da tempo, era in realtà un regalo. La possibilità di unire la nostra realtà di Romena al tuo nome, insieme ad “Anima mundi”. Era un libro speciale, un’intervista che due giornalisti francesi ti avevano fatto sul tema della morte. Non perdemmo l’occasione. Ogni parola di quel libro, “Un azzurro che non mente più”, è come se oggi brillasse di una luce speciale.
Prendo solo alcune righe, quasi a caso: “La morte non prende che il tempo. È molto. Ma non prende che questo. Léon Bloy dice: “Morire è solo togliere la polvere che copriva un bel mobile.” La morte ci mette in una grande intimità con lei. Ma c’è una stanza segreta in noi, nella quale non sa entrare. Questa stanza arde di gesti, di sorrisi, di frasi che ci hanno abbagliato e ci hanno portato lontano da noi stessi, lontano dal mondo e da tutto. La morte non prende queste cose”.
Non c’è una pagina di questo libro in cui la morte non serva ad altro che a parlare di vita, non c’è più vita che in un tuo libro sulla morte. Questo sei tu Christian, questa è la tua magia vera del tuo scrivere.
“I i libri di Christian Bobin – ha scritto su di te la nostra Maria Teresa – appartengono ad una categoria a parte, dove la poesia si intreccia con la musica delle parole e dove la realtà attraverso lo scritto vola fino a raggiungere l’irraggiungibile”.
Tutto questo continua. Ora è nella stanza segreta di cui ci hai parlato. Continueremo a frequentarla sapendo che lì ci sei, e ci sarai sempre.
Ma permettici almeno di dirti una parola, una sola, quella che ci sarebbe piaciuto pronunciare bussando alla porta della tua casa in Borgogna.
Merci Christian, semplicemente grazie
Ti vogliamo bene.