
Si può educare alla pace anche attraverso il gioco del calcio. Non è un’utopia, ma un progetto concreto, che coinvolge migliaia di ragazzi e che si sviluppa alla periferia di Roma, quartiere Corviale, in un luogo che, non a caso, si chiama “Campo dei miracoli”. Qui, tra enormi palazzi, da quasi quindici anni è cominciata una favola che si può toccare con un dito: la favola di un gioco, il calcio, che non è più strumento di rivalità estreme o di interessi economici esagerati, nè dominio di tifoserie violente, ma che diventa espressione di una società capace di far vivere concretamente, soprattutto ai più giovani, valori come la giustizia, il senso di responsabilità, la solidarietà.
Credeteci, val la pena ascoltare la conversazione con Massimo Vallati, grande amico di Romena, inventore del ‘calcio sociale’. Massimo ci racconta come è stato possibile trasformare il gioco più amato e praticato in uno strumento pedagogico, in una meravigliosa scuola di pace e giustizia a cielo aperto. Il tutto senza togliere nulla al fascino del calcio, ma semplicemente riscrivendone alcune regole: nel calcio sociale, per esempio, non esiste l’arbitro, perché i giocatori devono imparare a essere responsabili, e neanche la panchina, perché tutti devono poter giocare; le squadre devono avere lo stesso coefficiente tecnico, perché vi sia equilibrio, e all’inizio e alla fine di ogni incontro ci si deve prendere per mano, perché la competizione deve unire, non dividere.
Il calcio sociale valorizza tutti i giocatori, anche il più debole: ed è proprio lui che deve tirare i calci di rigore. Una regola, quest’ultima, che è stata sottolineata da un tifoso speciale del progetto di Massimo Vallati: il presidente Mattarella. “Se ci fosse stata ai miei tempi qualche rigore avrei potuto tirarlo anch’io” ha detto il giorno in cui ha visitato il centro di Corviale per inaugurare il campo di calcio a undici…