Il blog di Romena, a cura di Massimo Orlandi

Ciao Rita, donna di luce e di coraggio

Non ti dimenticheremo Rita. Non dimenticheremo il tuo sguardo aperto, i tuoi occhi luminosi, il tuo sorriso caldo del sud.
Non lo dimenticherà di sicuro chi c’era quel giorno del tuo passaggio a Romena. Era la festa dei nostri quindici anni, le tue parole ci arrivarono dritte al cuore.
Quel giorno parlasti insieme al Vescovo Bregantini, all’epoca impegnato a Locri, e all’indimenticabile Arturo Paoli, da poco rientrato da mezzo secolo di missione in Sudamerica.
Era un caldo giorno di luglio, la pieve ribolliva di gente, ma ciò che ci dissetò fu la tua testimonianza di vita, il racconto delle tue scelte seguite al tragico attentato a tuo fratello Paolo.
Ci sono incontri che non sono mai finiti: così quello, che ci si depositò dentro come uno dei patrimoni più belli nel nostro cammino di fraternità.
Oggi è bello rileggerlo, con la scorta delle tue parole. Almeno di una parte di quelle che ci regalassi, e che poco tempo dopo, pubblicammo nel nostro giornalino.
E’ solo uno dei mille modi che abbiamo per pensarti, oggi, e tenerti viva più che mai nel nostro cuore

 

Il cammino del lampadiere
di Rita Borsellino

Dopo la morte di Giovanni Falcone, Paolo non diceva più “Se mi ammazzeranno” cominciò a dire: “Quando mi ammazzeranno”. E aggiungeva: “Devo fare presto perché non ho più tempo” e sottraeva tempo e affetti alla famiglia perché voleva abituarci a quando non ci
sarebbe stato più.
E poi arrivò il 19 luglio, quel giorno atteso, in fondo conosciuto, arrivò. Io non ero in casa. Quando arrivai ancora bruciava tutto, ancora suonavano le sirene impazzite delle ambulanze e della polizia. Rimasi come anestetizzata davanti a questa scena, mi sentivo vuota, completamente vuota dentro. Questa mia sensazione ebbe una voce quando all’indomani sentii il giudice Caponnetto dire: “È finito tutto”. La sensazione era quella. Era finita la vita, era finita la speranza soprattutto. Io provai ancora una volta quella mia abitudine a difendermi e a difendere i miei affetti, girai le spalle a questo spettacolo insopportabile e dissi soltanto: “Non ci voglio più tornare qui”.

E lì cominciò la mia nuova vita perché mio figlio mi prese per le spalle e mi scosse, era poco più che ventenne mio figlio, ed era tanto più maturo di me, mi scosse proprio, quasi con rabbia, e mi disse: “Ma sei pazza. Questo luogo adesso lo dobbiamo custodire noi”.
Cambiò lì sicuramente la mia vita, forse fu quello il momento in cui nacqui di nuovo.
Cominciò così il cammino in questa nuova strada che mi si apriva davanti e che non sapevo dove mi avrebbe portato, una strada che è durata 14 anni, una strada che mi ha portato ad incontrare decine di migliaia di persone; una strada che mi ha dato l’opportunità di ricevere un patrimonio straordinario che ho voluto raccogliere e mettere a disposizione di altri facendolo diventare sempre più grande, vedendolo diventare sempre più grande quasi nonostante me.

In questi ultimi mesi con l’impegno in politica, sto vivendo ancora un cambiamento della mia vita, forse ancora più doloroso di quello del 19 luglio.
Qualche volta mi chiedo : “Ma è proprio questa la strada che dovevo seguire?”
Ancora è troppo presto, non vi posso dire se davvero ho fatto bene.
Vorrei però confidarvi che determinante in questa mia scelta è stata una lettera che Tom Benettollo, presidente dell’Arci, uomo di pace, scrisse due giorni prima di morire e che io ho appesa nel mio studio e che guardo ogni giorno. Tom dice, parlando ad un suo amico: “In questa notte scura, qualcuno di noi, nel suo piccolo, è come quei “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla, con il lume in cima. Così il lampadiere vede poco davanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o per narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della vita”.