L’ultima volta che lo vidi fu un mese prima del suo ultimo respiro, poco più di un anno fa. Le sue parole si erano fatte rade. Parlava per lui il sorriso lieve, e quello sguardo proteso sull’orizzonte, a saggiare l’infinito. Dissi qualcosa io, allora, ma solo per disegnare con le parole la traiettoria di un immenso grazie.
Arturo Paoli ci ha lasciato una enorme eredità. Di idee, di stile, di pensiero. Di amore.
Le parole sulla leggerezza lui ce le aveva dettate una sera di luglio di dieci anni fa. Parole dettate al vento di una sera d’estate, nel prato di Romena. Indimenticabili.
Altri pensieri sul vivere senza portare fardelli, poi, Arturo me li aveva consegnati a mano, durante una settimana vissuta insieme, a Spello.
Ce n’era abbastanza per un libro, che in effetti pubblicammo, con il titolo “La forza della leggerezza”. Oggi quel libro si gonfia di un vento nuovo. Il tempo non lo ha consumato: le parole di Arturo continuano ad arrivarci dal futuro. E la leggerezza di vivere, che oggi lui sperimenta
nell’assoluto, resta l’essenza più profonda della sua eredità.
Per comprendere la sostanza della sua leggerezza vi propongo alcuni passaggi iniziali della mia intervista. Poche battute. Già sufficienti a definire il suo stile…
A cosa si deve, Arturo, questa sensazione di leggerezza, di gioia di vivere, che ti accompagna sempre?
La mia gioia è quella di star bene al mondo. Sto bene al mondo, anche ora che sono vecchio.
Anzi, per me la vecchiaia è il periodo più bello della vita, perché libera l’amore. A questa età, infatti, tutte quelle pulsioni, quei desideri, quei bisogni che ti agitano nella vita si trasformano in tenerezza. Senti come se si rompessero delle barriere, dei limiti, e ti resta tutta questa tenerezza da dare. La vecchiaia per me coincide con la libertà.
Se guardi la tua vita dall’alto, che cosa nel suo percorso l’ha aiutata a raggiungere questa leggerezza?
Quello che rende lieve la vita è il non portare fardelli. Non ti posso dire che la mia vita sia stata tutta buona, no, però ti posso dire che la mia vita è stata bella: anche gli aspetti negativi, anche gli eventi che mi hanno fatto soffrire di più sono stati importanti, perché mi hanno aiutato a liberarmi da tante pesantezze, a crescere, a capire gli aspetti profondi della vita.
Quindi anche il peccato, che spesso è motivo di pesantezza, in realtà ci aiuta a incontrare Dio?
Lo dice anche San Paolo, Dio ama “ea qui non sunt”, le cose che non sono. Bisogna arrivare ad accogliere profondamente quello che è negativo, quello che tu in quel momento consideri una palla al piede, lo devi valorizzare come bisogno della grazia, come inferiorità che ha bisogno di essere aiutata. Perché in fondo la fede in Dio cos’è? È sentire il bisogno di lui, il desiderio profondo di Lui. E così la sofferenza, le delusioni, le umiliazioni che ricevi a un certo punto li benedici perché sono quelli che ti portano a questa intimità.
La gioia di stare al mondo di cui parli è il frutto di una immersione totale e libera nella vita… La gioia può nascere solo dalla consapevolezza del vivere. Dice Gesù: “Il mio giogo è soave e leggero è il mio peso” (Mt 11.,30). La religione è solo un peso insopportabile quando non apre al senso del vivere e a tutte le dimensioni dell’esistenza.