Il blog di Romena, a cura di Massimo Orlandi

Roberto Mancini e la misericordia

Il Volto Della Tenerezza-page-001Qual è il motivo di fondo per cui giri continuamente l’Italia per incontri e convegni? Feci questa domanda una sera a Pistoia a Roberto Mancini, stupito di quanto e di come questo appassionato filosofo trovasse la forza per rispondere ai mille inviti che gli arrivano da ogni dove. “Perchè mi piace sperare insieme” fu la sua risposta. La speranza è un seme che non è mai inutile piantare, e che si fa germoglio soprattutto laddove non si è soli, ma ci si incontra.

Da alcuni anni Roberto è diventato un grande amico di Romena: ed è sempre stimolante e fecondo ascoltarlo. Domenica prossima avremo una nuova opportunità. Mancini sarà infatti tra gli organizzatori e i relatori di un incontro che si svilupperà la mattina (inizio alle 10) e il pomeriggio a Romena. Il tema scelto è “Il volto della misericordia”, insieme a lui ci saranno il nostro don Luigi, Gianni Vacchelli e Achille Rossi. Alla vigilia dell’anno santo speciale sulla misericordia rifletteremo tutti insieme su questa parola cardine della fede cristiana. Una parola sulla quale Roberto Mancini si è pronunciato spesso. Per questo condivido con voi un breve estratto di una sua riflessione pubblicata su Mosaico di pace che ci fa capire quanto questa parola è centrale per l’amore cristiano, e quanto invece sia stata disattesa, non ascoltata, fraintesa…

DSC_7958“Misericordia io voglio, non sacrificio”

Se tutti quelli che si dicono cristiani lo fossero davvero, l’Italia e il mondo sarebbero molto diversi. La società intera avrebbe una maggiore possibilità di essere più mite, gentile, solidale, giusta. Essa potrebbe finalmente somigliare a una società dove termini come “fratello” e “sorella” non sarebbero vuoti, ma concreti ed essenziali per singoli e comunità.
Uno dei passi fondamentali per dare seguito alla fede cristiana, in modo che diventi vita vera, è quello di scegliere la logica della misericordia invece di perpetuare la logica sacrale-primitiva del sacrificio. Eppure pochi credenti se ne rendono conto.

Moltissimi preferiscono mettere in scena il cristianesimo come religione sacrificale piuttosto che viverlo come seme di umanità nuova. Ciò che la Bibbia, nella grande storia della relazione tra Dio e l’umanità, chiama la “terra promessa” non è un pezzo di terra da difendere con le armi e da occupare con i coloni. È l’umanità promessa, il compiersi della creazione in una comunità umana divenuta così libera da saper dire di “no” al male.

Per uscire dall’equivoco, bisogna ripudiare il sacrificio come fondazione della fede, come logica e prassi, per aderire all’amore misericordioso, prendendo sul serio l’invito alla felicità che Gesù rivolge a ognuno nelle Beatitudini. Egli, riprendendo le parole del profeta Osea (6, 6), ha formulato in modo indelebile l’alternativa di fondo. Annunciando la volontà del Padre, afferma “misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9, 13 e 12, 7). Eppure la teologia, la liturgia e la morale della cristianità sono ancora costruite semplicemente cancellando questa indicazione determinante ed esplicita, con il risultato di invertire il senso delle parole di Gesù. Infatti, abbiamo edificato, per lo più, una Chiesa religiosa, sacrificale, dedita alla gestione del potere verticale, pronta a giudicare tutte le persone ritenute lontane o irregolari, come se il suo motto fosse “sacrificio io voglio e non misericordia”.

Perché la mentalità sacrificale va ripudiata? Perché il sacrificio è sempre sacrificio di vittime. Perché mette la sofferenza al posto dell’amore.
Perché pone nel cuore di quello che sarebbe un vero dono la perdita, la rinuncia, la mortificazione. Perché induce a credere che esistano distruzioni che hanno una forza creatrice.
Perché persino chi vuole limitarsi al sacrificio di sé, poi pretende che anche gli altri si sacrifichino. Ma a essere salvifica non è mai la sofferenza. Salvifico è l’amore capace anche di sostenere su di sé gli effetti del male e di farsi carico della sofferenza che tali effetti producono. Se leggiamo la croce in una prospettiva non più sacrificale-espiatoria, si inizia a comprendere il senso dell’amore incondizionato, generoso, misericordioso di Gesù e del Padre.