“Oh, I get by with a little help from my friend”. Mi suona nelle orecchie la voce di Ringo Starr. La canzone dei Beatles è la colonna sonora dei pensieri che, in questo momento, associo a Willy.
Sì Willy, come William Boselli, da Bologna, un meraviglioso ragazzo che da trent’anni vive nella sua ‘carrozza’, come la chiama lui, quasi completamente immobilizzato, e che pure, riesce a rendersi protagonista di avventure straordinarie. Con un piccolo aiuto dei suoi amici.
Sabato prossimo, chi vorrà, potrà incontrarlo a Scandicci (Firenze). Al Palasport, per un giorno, prenderà vita Happy hand, la manifestazione da lui ideata per mostrare che si possono abbattere tutte le barriere attraverso gli incontri, lo sport, il gioco mostrando che è possibile un mondo a colori, governato dall’amicizia. Il mondo di Willy.
E’ la Compagnia delle arti di Romena ad aver organizzato l’evento di Scandicci, di cui qui potete trovare contenuti e programma. Nell’articolo che segue, invece, che ho scritto su di lui dopo un incontro a Romena, provo a presentarvi Willy. In attesa che anche voi diventiate suoi amici. Già sabato, magari…
“Ogni gesto che compio silenziosamente resta racchiuso all’interno del mio corpo. Io lo so di muovermi benissimo. Solo che voi non lo vedete. Ma sono un gran ballerino, credetemi”. Il passo di danza di Willy è fatto di palpebre e guance: le prime giocano con gli occhi, le seconde fanno da quinta al suo sorriso. Non serve altro, nemmeno la musica: solo mettersi a sedere. E guardare.
Sono passati quasi trent’anni da quando William Boselli scopre di aver un ospite inatteso che si aggira malefico nel suo cervello. La freschezza dei suoi diciott’anni si misura con la sfida a quel perfido angioma che lo stuzzica, che lo fa barcollare. Che lo mette al tappeto. Non si può restituire la bellezza e l’armonia dei propri movimenti proprio nel cuore della loro efficienza. Ma a Willy accade proprio questo. Prima le gambe, poi, gradualmente, le mani. Che la sua vita sia un distillato di sofferenza? Willy non lo pensa mai, anche se qualche indizio pesa.
“Sapete cosa significa sentire la pipì e non potersi alzare per pisciare?” No, non lo sappiamo. Lui sì. Gli indizi peggiori della sua condizione di tetraplegico non riguardano le corse nei prati o le nuotate al largo. Ma gli esercizi più scontati per noi, che si fanno tabù per lui.
Eppure. C’è un “eppure” che all’inizio è piccolo, ma che poi prende forza. Eppure indica la presenza di una via d’uscita, di un pertugio apparentemente secondario in quella selva intricata di dolore. Eppure è il segno che ci si può fare, che ci si può provare. Solo che quella parola non puoi pronunciarla da solo. Ci vuole l’affetto di una famiglia, di babbo e mamma, delle sorelle, ci vuole l’abbraccio convinto e non compassionevole degli amici. Ci vuole amore, amore a più non posso per la vita, per gli altri, per tutto. Eppure. Eppure Willy ce la fa.
Sentitevi addosso il brivido che Willy non può avvertire. Ma avete letto bene: ce la fa.
Immaginatelo ora nella nostra pieve, Willy. Immaginatelo che ci racconta la sua storia, che ci fa ridere, che ci commuove. La vita è bella, ci dice. Bella, sì, anche quando la guardi e non la puoi toccare con le mani, anche quando non puoi, fisicamente, correrle incontro. E tutto questo Willy non solo lo dice, te lo fa respirare. Per la sua leggerezza, per la sua autoironia, perchè di tutto quello che abbiamo, e molto di questo lui non può assaporarlo, lui sa cosa conta veramente. “La cosa più importante è sapere vivere tutti i giorni. Guardate che non è bello stare in ‘carrozza’, io stavo bene anche senza, però cerco di vivere in maniera piena e particolare quello che mi viene dato. Ogni anno festeggio volentieri il mio compleanno perchè è un anno in più che ho vissuto. E così oggi essere qua con voi per me è una vittoria, un regalo”.
Il racconto di Willy scorre come acqua fresca sulle noste vite spesso inutilmente attorcigliate. Lui che ha dovuto fare i conti con quasi tutte le nostre paure, ora sa come gestirle. Lui che ha dovuto gestire mille limiti, invece che sprofondarci li ha circoscritti. In nessun incontro come in questo sento pronunciare tante volte la parola fortuna. Fortuna i genitori, che non lo hanno mollato un istante, fortuna gli amici che riempiono la sua vita, fortuna anche la tecnologia domotica grazie alla quale nella sua stanza può scrivere, rispondere al telefono, cambiare il canale alla tv. Ma Willy è ancora più semplice e schietto delle cose che diciamo di lui.
“La rinuncia più grande? È quella all’autonomia. Sono sempre stato abituato fin da ragazzo a muovermi con molta libertà. All’inizio il dover chiedere è stato molto faticoso. Poi mi sono adeguato. D’altra parte che potevo fare?” Su Internet c’è un sito che parla di Willy e gli assomiglia. Il sito (www.wtkg.it) è popolato di volti, di frasi, di saluti, è come essere nella sua camera e guardare le pareti e vederle animate di ricordi vivi, di persone. È un luogo festoso, vibrante di vita: il saper vivere di una persona non dipende dai suoi limiti, ma da come ci si muove, a partire da essi. “È vero, non ho ballato – dirà Willy alla fine dell’incontro di Romena – però spero di aver lasciato un buon ricordo e un sorriso”. Già, il sorriso. Il suo passo di danza migliore.

Monte San Pietro
30-31 maggio
1 giugno
2014