“Perché? Perché è potuto accadere?” Perché Dio la ha permesso?”
Erano queste le domande che ti infestavano la vita, che ti rubavano il sonno di notte. Perché? Era un interrogativo rabbioso che ti portavi addosso perché era il solo al quale potevi affidare il dolore insostenibile di tutto ciò che avevi visto, per oltre tre anni, nei campi di prigionia e poi di concentramento nazisti. Perchè? Forse lo hai chiesto anche la scorsa notte, per l’ultima volta, prima di consegnare per sempre la tua domanda all’Assoluto.
Silvano Lippi ci ha lasciato dopo 93 anni di una vita intensa e appassionata. Abitava a Sesto Fiorentino, con la sua famiglia. Viveva, in questi ultimi anni, del bisogno di non disperdere i suoi ricordi orribili, perché condividerli era una medicina per lui, e un aiuto, concreto, per gli altri, soprattutto per i giovani.
“Voglio tornare presto nelle scuole” mi aveva detto più volte di recente, dopo che un’operazione al femore aveva reso difficili i suoi spostamenti.
Incontrare i ragazzi era per lui un’esperienza irrinunciabile anche se, raccontando, fatalmente riviveva gli strazi cui aveva assistito, e quel dolore era sempre troppo, anche sessant’anni dopo.
La vita di Silvano, quella che avrebbe raccontato fino a una quindicina di anni fa, conteneva un buco nero di 39 mesi. Un buco così orribile che nemmeno lui vi si era voluto riaffacciare, almeno in pubblico. Poi qualcosa era scattato, e dal 2000 in poi aveva totalmente trasformato il suo racconto di sé: parlava solo di quel buco, di quella voragine di umanità in cui era entrato, riuscendo miracolosamente a uscirne.
Sottufficiale in Grecia, Silvano aveva detto ‘no’ con fierezza alla Repubblica di Salò e per questo era stato fatto prigioniero dai tedeschi. Quella scelta fiera di opporsi all’epigono di una dittatura gli era costata la reclusione nei peggiori campi di prigionia in Germania, fino al terribile incontro con il campo di concentramento di Mauthausen, in Austria.
“Sono stato fortunato” raccontava in lacrime. La fortuna era quella di esserne uscito vivo, mentre tutti i suoi compagni non ce l’avevano fatta. Ma era una fortuna che conteneva un macigno: avrebbe portato con sè il ricordo indelebile dell’uomo nello stadio più basso e più feroce, tra i carnefici, e dell’uomo reso ombra di se stesso, annichilito dalle torture e dalla fame, tra le vittime.
Silvano conobbe Romena perché lo invitammo, grazie all’interessamento di due cari amici della Fraternità, Tamara e Pierpaolo, al nostro incontro “Una fede nuda”.
In una pieve silenziosa e commossa Silvano ci raccontò quei terribili 39 mesi, non risparmiando particolari: voleva mostrarci quello che aveva visto, e quello che aveva visto era l’inferno dell’uomo, l’inferno del peggiore dell’ultimo dei gironi di Dante.
Quella sera era scattata una sintonia speciale tra di noi. Silvano aveva sentito dalla gente di Romena un affetto, una vicinanza che gli avevano riempito il cuore.
Quel filo non si sarebbe più interrotto: e quest’estate, in una delle sue ultime uscite, è voluto proprio tornare a Romena, per partecipare all’incontro con don Luigi Ciotti e, forse, per salutare un luogo nel quale aveva sentito di poter appoggiare il suo dolore, ricevendo un dono di tenerezza.
Ciao Silvano. Ho il rammarico di una visita mancata, non compensata dalle telefonate che ci scambiavamo, ma anche la gioia di averti conosciuto e di aver sentito con te l’affetto di un amico, di un ‘nonno’ speciale.
Ciao Silvano. Voglio rivivere col cuore e con la mente il momento finale dell’incontro a Romena: tutti in fila, una chiesa intera di gente, per avvicinarsi a te, per raccogliere una tua lacrima dentro una carezza, per sussurrarti una parola dolce, per abbracciarti.
Voglio pensare che quel momento continua, che la porta del Paradiso sia una fila di abbracci, e che i primi della fila siano i compagni che hai visto soffrire e morire di stenti.
Ciao amico di tutti noi. Oggi finalmente sono arrivate a destinazione le tue domande. E spero che tu abbia ricevuto la miglior risposta possibile alle sofferenze e alle angosce dell’uomo: amore, tanto amore, un oceano, infinito, di amore.