Il blog di Romena, a cura di Massimo Orlandi

Le radici di Romena

tonio e beppaDove appoggiano le radici di Romena? Certamente in una storia antica, una storia ancora più lunga di quella della pieve, che ha poco meno di mille anni. Ma ci sono anche radici più fresche, che non ricordiamo spesso, forse perché non le conosciamo abbastanza. Sono le radici contadine della fraternità, è l’impronta di chi ha custodito e conservato la pieve e il suo territorio sino a pochi anni prima della nascita della Fraternità.  Ho dedicato alcuni pensieri a queste bellissime figure contadine, con un’attenzione speciale a due di loro: Tonio e Beppa, che vissero a lungo in quella che è la canonica della pieve. Gli ultimi custodi, prima di noi..

 

Le radictonioi di Romena

Ai miei occhi bambini Romena era solo il nome di uno svantaggio. Lo svantaggio di essere periferia di tutto. Il luminoso presente era altrove, qui c’era solo un mondo contadino che arretrava.
Gli amici dell’estate venivano da Firenze, Roma, Milano, abitavano in villette nuove e ben curate. Bevevo i loro racconti di città, tutto ciò che di cui parlavano luccicava.
Erano i primi anni settanta. Le colline di Romena, poco dolci per chi avesse voluto vivere di agricoltura e troppo lontane dalla città per chi avesse cercato un destino diverso da quello della terra, stavano vivendo una fase crepuscolare. Molti giovani se n’erano andati negli anni del boom economico a cercare lavoro in città. Erano rimasti in pochi, spesso i più anziani, in bilico tra le tradizioni mezzadrili e il bisogno di trovare un posto a libro paga, per far quadrare i conti.

Non sapevo allora, me ne sono reso conto poi, di aver avuto il privilegio di sfiorare un mondo, una cultura, un modo di vivere che di cui ancora così tanto profuma Romena, in cui è così profondamente inserito tutto il cammino della nostra fraternità. Le nostre radici.
Ho conosciuto quei contadini spesso già anziani. Li ricordo quando accompagnavo il parroco per l’acqua santa: le donne avevano la corona del rosario tra le dita, i capelli raccolti, gli occhi abbassati, gli uomini il berretto ripiegato in mano, gli scarponi spruzzati di fango, impronte di fieno sulla schiena.
Si faceva silenzio e Dio entrava, entrava per davvero. Li ricordo per le ricorrenze a Romena: persone ritte in piedi, dignitose, capaci di riconoscere il valore del lavoro, ma anche quello della festa.

Tra tutti loro vorrei presentarvene due, con una motivazione speciale: sono stati gli ultimi custodi della pieve. Gli ultimi, prima di anni di abbandono e di silenzio, prima dei timidi esordi della nostra fraternità. Si chiamavano Tonio e Beppa.
Non erano custodi solo perché avevano le chiavi della chiesa e perché ci vivevano. Lo erano perché rendevano quel luogo vivo, abitandolo, amandolo, custodendolo con una attenzione amorosa.
Vivevano nella canonica, la loro cucina era dove ora abbiamo messo una piccola saletta d’accoglienza, accanto alla segreteria. Tante volte, dopo una messa, ci si soffermava lì.

Contadini, entrambi, vivevano dei frutti della terra nei campi intorno alla pieve.
Tonio era un uomo di fede. Il suo modo di inginocchiarsi in chiesa, un’offerta semplice e devota di se stesso, é stato il mio primo corso di catechismo. Era un uomo piccolo, leggermente ingobbito, la sua voce, specie in chiesa, era un caldo sussurro. Per preparare le celebrazioni, pulire o portarci le persone poteva entrare in pieve cento volte al giorno: ma ogni volta che entrava si faceva piccolo rispetto al mistero mostrando anche fisicamente che quello era un luogo sacro. Quando penso al ‘timore di Dio’ penso a lui: che mostrava nei fatti come il timore di Dio non sia fatto di paura, ma di rispetto, rispetto per qualcosa di bello che ci sovrasta, ma ci contiene.

E poi Beppa. Beppa era una tipica donna di campagna, fisico abbondante, modi schietti, tanta giovialità. Una donna festosa, solare, diretta. Anche lei attentissima nella custodia di quel bene grande che era la pieve. I nipoti mi raccontano della sua attenzione per gli oggetti e le abitudini dei preti che venivano a dir messa: nulla, a partire dalle tazze che avrebbero usato per bere un caffè, doveva mai essere in disordine.

Tonio, Beppa, i quattro figli, e poi i nipoti che sin da piccoli frequentavano gli spazi di Romena per stare con i nonni. E’ questa la comunità che ci precede, l’anello di congiunzione con il nostro passato.
Spesso a Romena, mi sembra di sentire il parlare sottovoce di lui, e il controcanto corposo di lei. E li immagino felici, e con loro tutti i loro coetanei contadini, felici di sapere che la loro storia non si è estinta. Che il loro cammino silenzioso, umile, operoso, continua a dare frutti, in altro modo.
Quando a Romena sentiamo il sapore della semplicità, quando avvertiamo il valore di una spiritualità autentica, liberata dagli schemi, dobbiamo ricordare da dove inizia la scia di quel profumo. E’ una scia che parte dalla terra, e guarda, rispettosa, il cielo.
.