Le grandi domande della vita affidate a una donna in cammino. Una donna che ha amato, che ama, una donna che ha dovuto separarsi dal suo affetto più grande, una donna che ha scelto di aprirsi alla vita, senza ripiegarsi su di sé.
Chi frequenta Romena conosce Maria Teresa Abignente: è lei che segue i percorsi di coppia, è lei che da alcuni anni ha affiancato il gruppo Nain, quello dei genitori che hanno perso i figli.
Raramente Maria Teresa parla di sé, del suo percorso. Lo ha fatto in un incontro pubblico, a Firenze. Mentre la intervistavo, pensavo che tutto questo avrei voluto condividerlo con voi. E allora, eccolo qua…
La voce di Maria Teresa è calda, le sue parole arrivano lente, scandite con cura. E’ una sera di primavera, l’incontro del teatro le Laudi ha per tema la ricerca della fede. “Cercatori di luce” è il suo titolo. Con Maria Teresa abbiamo deciso di non giocare coi ruoli, ma di parlare in pubblico come avremmo fatto in privato, forti della nostra amicizia. E’ una promessa di autenticità cui Maria Teresa aderisce. In pieno.
Tu vieni da Napoli e mi ha sempre detto che quando eri ragazzina, quando eri ‘scugnizza’, avevi un temperamento ribelle. Eri così anche per le cose della fede?
Ero molto ribelle, tanto che, visto che i miei genitori mi avevano messo in un istituto salesiano, io per tutta risposta divenni subito atea. Però sentivo sempre molto una voglia, un bisogno, un qualcosa che mi mordeva dentro. E così, pur rifiutando percorsi di fede, continuavo a cercare. In questo cammino ebbi la fortuna di conoscere esperienze e persone meravigliose: conobbi la realtà dei Piccoli fratelli di Spello quando c’era Carlo Carretto, conobbi Camaldoli all’epoca in cui c’era Benedetto Calati. Comunque il tormento restava: non è stata facile per me la fede.
Questo cammino, a un certo punto, diventa di coppia. Perché accanto a te arriva Giovanni…
Lui mi ha fatto sempre tanta rabbia perché aveva una fede immediata, semplice, potrei dire pura. E forse fino in fondo non comprendeva la mia difficoltà. Però abbiamo condiviso comunque: io faticando nel comprendere la sua semplicità e lui nel vedere il mio travaglio.
E’ con lui che ti sei aperta di più alla fede?
La realtà è che l’amore ti fa crescere. Noi abbiamo un’altra pelle, un altro sguardo quando siamo innamorati. Conoscere l’amore per me è coinciso con il conoscere Dio.
A un certo punto mi sono detta: se Dio è amore allora io lo conosco perché sono innamorata, perché amo e sono amata.
Un amore, una famiglia, tre figli, una vita “generosa” come l’aveva definita Giovanni. Ma il cammino si interrompe. Giovanni si ammala e, siamo nel 2003, vi lascia, ci lascia: era stato uno dei fondatori della nostra fraternità. E’ un momento durissimo, eppure tu, nel parlarne, ne hai anche sempre parlato come di un momento, comunque prezioso, intenso…
E’ vero: pur in una situazione tragica, in uno strazio totale, insieme abbiamo provato questa sensazione di pienezza, di gioia. Quel periodo mi ha insegnato una cosa: mentre noi, soprattutto per la nostra cultura occidentale siamo portati a separare, o è bianco o è nero, o è triste o è allegro, ho capito che si può essere tristi e si può provare gioia allo stesso tempo, che gioia e dolore possono camminare insieme.
La tua fede è quindi maturata anche nel passaggio attraverso una ferita così lacerante…
Credo davvero di sì. Credo di aver davvero toccato Dio nella ferita, e in questo amore per Giovanni che a dieci anni di distanza, continuo a sentire vivo.
E come continua l’amore con una persona che non c’è più, almeno fisicamente?
Continua in maniera altra, in maniera ancora più intima, rispetto a prima. Mentre prima sentivo la presenza di questo amore attraverso le esperienze vissute insieme, ora lo percepisco diversamente, attraverso le carezze della vita.
E credo che la vita non sia solo questa che viviamo, che tutto è vita, anche da quell’altro versante, da quell’altra faccia che non possiamo vedere.
Se guardiamo la luna noi ne vediamo una faccia, ma esiste anche l’altra, esiste anche se non la vediamo. Così per la vita: c’è una faccia che non vediamo, ma c’è, anche quella è vita e non le possiamo separare.
Ecco perché io credo che noi, come coppia, continuiamo a partorirci a vicenda: è un po’ come se lui ogni tanto mi donasse un pezzetto di paradiso e se io gli offrissi un pezzetto di terra.
Da alcuni anni a Romena affianchi il percorso del gruppo Nain, dei genitori che hanno perso i figli. Li affianchi condividendo con loro anche domande durissime: perché Dio taci? Dio dov’eri? Come vivi, insieme a loro, domande così grande che, in fondo, appartengono anche a te?
Prima di tutto devo dire che frequentare chi vive il dolore ci fa molto bene. Devo molto al coraggio, alla dignità, alle lacrime, ai sorrisi di questi genitori. E’ chiaro che queste sono le domande che nascono in ogni cuore straziato dal dolore, domande che invocano un perché? Non credo ci siano risposte. La risposta avviene lentamente, gradualmente: vedi, se ora spegnessimo tutte le luci di questa sala, noi rimarremmo al buio, ma questo non significa che la luce non esiste più, la luce continua a esistere.
Che cosa provi a trasmettere a queste famiglie con la tua presenza?
Provo a far comprendere loro che il cammino che si compie nel dolore è un cammino di trasformazione, consiste nel portare a bruciare, a consumare il dolore fino a farlo diventare amore. Perché l’amore non muore. L’amore non muore mai.
Io mi sento molto diversa rispetto a com’ero dieci anni fa. Sono passi lenti di trasformazione. Ecco, quello che provo a testimoniare a queste famiglie è in fondo questo: lasciamoci portare dall’amore, da questo amore che sentite verso questo figlio che vorreste ancora baciare, spettinare, fatevi prendere da questo amore datelo, regalatelo, non tenetelo per voi, altrimenti vi farà male…
Il dolore ci fa male quando ci fa ripiegare su noi stessi.
A me fece molto bene una piccolissimo verso in una poesia dell’Abbé Pierre. Dice così: “quando soffri, ama più forte, ama chi è più in lacrime di te”. La difficoltà è distogliere lo sguardo centrato su di sé, e volgerlo verso l’esterno.
Cosa pensi oggi della fede, di come incontrarla.
Penso che ognuno ha il suo cammino ma che Dio arriva per tutti. C’è un bellissimo verso di Rainer Maria Rilke: “Prima o poi – dice – Dio matura sempre”.