Il blog di Romena, a cura di Massimo Orlandi

“Una fede nuda”: il diario di Paola

    marcolini-ronchi“Ti scriverò qualcosa su questi tre giorni”. Ci siamo salutati così, domenica scorsa, con Paola. Mentre “Una fede nuda” si concludeva e restava la voglia di restare appesi alla bellezza di quei giorni, Paola Segurini (una delle partecipanti al percorso di incontri che ho incontrato per la prima volta in questo week-end) mi garantiva che ci sarebbe stato in seguito. Stamani, finalmente, la sua promessa si è materializzata in un racconto ampio, libero, coinvolgente. Inevitabile chiederle di pubblicarlo…

Paola è nata a Cortina d’Ampezzo ma vive vicino Firenze. Conosceva Romena, ma da anni non tornava. Così nel suo ‘diario’ dei tre giorni si saldano tante dimensioni: gli incontri di “Una fede nuda”, la sua storia personale, i cambiamenti di Romena, le atmosfere che ha vissuto.
E’ un diario personale, a tratti intimo. Prezioso. Bello da leggere. E con il quale sarà prezioso confrontarsi. 

Ritorno a Romena 
di Paola Segurini

paola seguriniRomena l’avevo incontrata, tredici o quattordici anni fa. Spuntava nei discorsi dei miei compagni di yoga, nella cittadina tra Firenze e Arezzo dove mi ero trasferita. Ci andavano in molti, intorno a questo Gigi, un prete, ma “l’è un prete diverso”, spiegavano,“che fino a che non lo conosci non puoi capire”. Io, dall’alto – o dal basso – del mio scetticismo ben radicato, mi dicevo: “i preti sono tutti uguali, sarà solo perché lo conoscono, perché è di queste parti”. E continuavo a ritenerli fragili, facilmente ammaliabili, benché molto simpatici e amichevoli.

Poi ci ero andata anche io, qualche anno più tardi, per visitare e capire. E avevo trovato – in un luogo in cui la natura e l’arte si sono sposate e continuano a stare bene insieme da secoli – quel porto, quel prete, quei ragazzi, sempre diversi. Che andavano e venivano davvero come barche.
Era una caletta nascosta, di quelle che si scovano col passaparola, in cui bisogna sistemarsi con cura, per non alterare la sua naturale bellezza, con un suo equilibrio stabile, sì, ma sempre nuovo.

Ci tornavo ogni tanto, di domenica, o la notte di Natale, per esempio, in quella pieve dal buio accogliente e festoso. Ero certa che appena girata l’ultima curva, l’edificio antico, dall’armonia bizzarra mi avrebbe accettato con la gioia rinnovata di una continua prima volta.
Insomma, per anni Romena era stato uno dei miei luoghi del cuore.
La mia vita poi aveva preso, per forza, un’altra direzione, strappandomi dalle mie confortanti consuetudini. Nello stesso tempo, mi arrivavano voci, “Romena non è più la stessa, è cambiata, si è ingrandita, non è più quella di una volta”. Eppure io volevo tornarci, lo stesso.

E l’ho fatto, dopo 4 anni, ben preparata al flash dei cambiamenti.
L’occasione è stato il convegno “Una fede nuda”. Il programma intenso e un po’ misterioso, la stagione di fine estate e una serie di coincidenze finalmente positive, mi hanno traghettano verso il Casentino. La solita curva mi apre la visuale sulla solita (per fortuna) pieve, sempre lì quasi distesa verso valle, con il suo prolungamento tanto singolare. E poi tutto il resto. L’espansione abbracciante: inglobata la fattoria, con le sue stalle e tutti gli stabili annessi, scavalcata con grazia la strada.

Rimango sorpresa. Ed esploro, un po’ guardinga, quasi spocchiosa. Ritrovo, nelle nuove strutture, la grazia dei particolari tipici dello stile romeniano. Si perdono un po,’ ma ci sono. E poi la gente, che arriva a gruppi, in una gamma amplissima di età, stile, accento. Un mix davvero rilevante, che si dipana sulla superficie della nuova fraternità. Saluto Gigi, che non sembra per niente invecchiato, anzi. Sempre con quella sua aria “ci sono, ma non ho fatto niente, io”, orgoglioso del lavoro di tutti, come se non fosse partito tutto da lui, ma da un altro. Uno molto più in alto?

L’organizzazione, incredibile, e volontaria, smista drappelli di persone in tutti i conventi e ostelli del circondario. Finisco a Quorle, con una notevole botta di fortuna: alcuni dei miei amici – persi negli anni – avevano lavorato alla ricostruzione di quell’eremo tra le colline, e riuscire a vederlo era uno dei miei desideri. Pietra e suolo, alberi e prato – un prato difficile, diverso dall’Irlanda di Romena – e bosco. I mezzo, la figura leggiadra di Wolfgang, che si muove con i passi sicuri di un danzatore in un’area che non ha mai visto. L’accento duro dello svizzero-tedesco è soffuso di una dolcezza leggermente aspra, come il posto in cui vive.
Aleggia un profumo d’artemisia e, la mattina, si diffonde una musica che, sembra assurdo scriverlo, ma è davvero celestiale. Non ho altri aggettivi per quel crescendo di note che l’elfo minatore di Quorle sparge con il suo clarino.

DSC_0045Ma il tempo incalza. Iniziano gli incontri con i relatori più differenti tra loro, giù, nella Pieve. Tutte le mie barriere anti-emozioni sono alzate per la serata con Silvano Lippi, novantaduenne sopravvissuto a Mauthausen, che ha aperto le casse della sua memoria più di mezzo secolo dopo il suo ritorno a Firenze. Io, dopo aver visto i Combat Film americani – rilasciati a cinquanta anni dal termine della guerra – non ho più voluto vedere nessuna ricostruzione di quegli anni (neanche “La Vita è Bella”) perché nulla può essere come la realtà, nessun finto dolore è degno di quello vero.
Ma Silvano è vero, i suoi racconti sono delle martellate e rendono ben concreta la follia collettiva a cui può giungere l’uomo. E la domanda su dove fosse Dio (e dove è anche oggi, in certe situazioni) è l’unica che può sorgere dalle sue/nostre labbra. Il prete, Gianni Marmorini, con grandissima umiltà e sofferenza, lascia aperta la risposta. E rievoca la morte sul crocefisso: anche lì la domanda era stata la stessa.
La commozione degli spettatori è adulta e profonda. L’empatia per il giovane soldato che aveva dovuto uccidere un prigioniero, e lo dice – con vergogna, ma lo dice – ed è superstite dell’inferno perché era più forte degli altri, è tangibile, vera. Il dolore di quel vecchio, con le sue rughe ed il suo naso aquilino, è il dolore di tutti noi. La sua disperazione è la nostra. Tra quelle colonne così diverse l’una dall’altra, che sostengono un solo tetto, è come se fossimo approdati insieme. Anche senza conoscerci. Ad un appuntamento al buio con noi stessi. E con la durezza del mondo, che galleggia su un oceano di lacrime scintillanti ma, nonostante tutto, è illuminato ogni giorno da un sole forte, rimarginante.

totaleLa mattina del sabato, di nuovo sotto le antiche volte, scorre accompagnata dalla voce potente (nomen omen) di Antonietta Potente, una Mercedes Sosa della teologia, figura di grande carisma e dolce vigore. E poi il pranzo, ordinato e bello, perché condito con i sorrisi dei volontari addetti alle vivande, felici del loro prezioso ruolo. Il prato accoglie poi con grazia i nostri minuti di riposo, in questa cascata di conversazioni, complementari e irrinunciabili. L’esperienza di Emmaus, individuale e collettiva, narrata da Franco Monnicchi è un tuffo nella concretezza degli emarginati, una dimostrazione feroce di come esista la salvezza, dopo la durezza del fondo.

gianni valente e raffaele luiseLe ore ci transitano quindi verso un incontro che potrebbe essere tutto o niente. Sul Papa” venuto dalla fine del mondo’ si è letto e detto molto, ormai lo conosciamo come fosse il nostro vicino di casa. In più è appena uscita la ricchissima, in informazioni e spessore, e magistrale intervista di Antonio Spadaro, su Civiltà Cattolica. Che cosa potranno dirci di nuovo tre giornalisti? Massimo Orlandi, il cuore comunicativo della Fraternità, conduce un dialogo interattivo e coinvolgente. Gianni Valente, agenzia Fides ma, soprattutto, amico personale di Bergoglio, e Raffaele Luise, vaticanista del giornale radio Rai, pungente e acuta memoria storica di Oltre le Mura, rafforzano e colorano la figura del Papa, ne rivelando i particolari, fino a comporne un ritratto a tutto tondo, in 3D, che conduce il nostro vicino di casa al superamento definitivo della soglia del nostro cuore. Dove si sistema comodo e sorridente, sapendo che ci rimarrà per sempre.

gianmaria testa 5La sera incalza, avida di nostalgia. Per me, almeno. Che non ascolto più un cantautore dalla morte di mio marito, avvenuta 2 anni fa. Andrea era un inarrestabile canzonettaro – e io non potevo sottrarmici – ma di quella canzone, poetica, a tratti blue e a tratti etilica dei bardi italici – fatta salva la presenza non negoziabile di Leonard Cohen, Tom Waits e Nick Cave. Il suo Ipod viaggia sempre con me, spento.
Qualche giorno fa, su un treno che attraversava la penisola, ho acceso con coraggio lo strumentino emanatore di suoni. Il primo artista che è comparso sullo schermo è stato questo ex-ferroviere – e da”La locomotiva’ in poi, abbiamo un debole tutti per chi proviene dalla strada ferrata – passato alla musica.
Decidere di partecipare al concerto non è stato facile, ma è stato inevitabile. Andrea era sospettoso su Romena, ne amava l’architettura, ma il resto era per lui una delle mie bizzarre passioni.
L’ultima volta ci ero stata – stranamente – con lui, prima della malattia. Lo ricordo che passeggiava intorno alla Pieve, aspettando, con la pazienza tipica dei coniugi, che terminasse la Messa.
Gianmaria Testa è per me, questa sera, un ponte musicale tra la mia vita precedente e quella attuale: lo attraverso guardinga, perché traballa un po’, ma lo sfondo confortante e raccolto in cui mi trovo mi aiuta come una mano-guida sicura. E, con qualche accelerazione di battito all’apparire di melodie note, arrivo grata al termine del concerto, lieve, profondo e a tratti swing che va a sistemarsi tra i ricordi belli di sempre.

ermes ronchi e marina marcoliniLa mattina della domenica porta con se il trionfo dell’alba, vista con gli occhi”chiusi ma aperti’ di Wolfgang, che guida il nostro gruppetto variegato in una breve e gloriosa camminata nel bosco. E poi di corsa giù, verso le Lodi. E quindi il tratto toccante, contemporaneo e antichissimo, delle due ore volate, in un attimo, con Ermes Ronchi e Marina Marcolini, accompagnati da due attrici (Mariateresa Totti e Anna Branciforti) piene di forza e pathos.
Ero dubbiosa, come al solito, e, come al solito, non avevo voluto sapere niente di ciò che mi aspettava. Per arrivare senza illusioni o pregiudizi. Padre Ermes, tranquillo, quasi serafico con la sua voce calda, seduto accanto a una giovane signora dall’inconfondibile accento veneto (che non depone bene, per chi, come me, è fuggito da una regione di bigotti da urlo per trasferirsi in una più eclettica) e dall’aspetto”comune’, carina ma senza connotazioni che potessero far pensare”questa qui è tosta, è potente’.
Mai abito fece meno la monaca. Il suo”Dio è gioia, libertà e pienezza’ risuona deciso tra le pietre. Marina è un tornado, i suoi testi avvolgono in un vortice frizzante e dal profumo mediorientale. Si espandono e prendono forma fisica – nelle interpretazioni strasberghiane di X e Y – le donne della Bibbia. Diventano reali, escono dal più letto romanzo del mondo e sono con noi.
Il monologo di Maria di Magdala è così rivoluzionario, femminista, femminile e romantico da condurmi alle lacrime. E io non piango da circa 3 anni e mezzo, da quando un neurochirurgo mi aveva rivelato a quattr’occhi il tumore al cervello, inguaribile che aveva colpito Andrea. Ma non sono l’unica. Intorno altri piangono, per lo più donne, perché solo le donne sanno quanto sia facile perdersi, e trovarsi d’un tratto Maddalene nella propria cerchia sociale. E le donne sanno quanto sia facile innamorarsi, anche di Gesù, e non sapere come amare. I don’ know how to love him, da Jesus Christ Superstar, cantata da Anna Maria Iorio era stato proprio il preludio all’incontro, che si conclude in un stato emozionale molto elevato, oserei definirlo il climax del convegno, per tutti. I relatori e le lettrici ci hanno pilotato in una meditazione pungente come una rosa selvatica, che continuerà a sbocciare ogni volta che la nostra memoria tornerà a quella mattina di una domenica di primo autunno, nella Pieve di Romena.

maurizio maggiani 5Il pomeriggio è in discesa, prati, sole e musica, poi uno scrittore non cattolico che però frequenta la”pretaglia’, come Maurizio Maggiani, dissacrante e audace nelle sue analisi. Col suo nudismo e il suo aspetto da fanatico trekker. Schietto e rivelatorio nell’annunciare che la sua mancanza di Fede è forse da attribuirsi alla sua eccessiva cultura, alla sua incapacità di “essere come un bambino”, atteggiamento che, ci hanno ripetuto in questi giorni, è fondamentale. Un bello strattone verso le difficoltà a credere, Maggiani. Utile.

Alle 17, la classica celebrazione eucaristica stile “Gigi”, ma con altri concelebranti che, ancora una volta ne confermano la condivisione della formula”vincente’, trasmette gioia e comunione.
Da dove sono seduta, sotto le colonne accanto all’altare, vedo i volti delle persone, così diversi tra loro, in connotati fisici ed età: tutti, ben concentrati, seguono, cantano e – di nuovo – molti hanno tante lacrime. No, non siamo a Medjugorie. No, non è un fenomeno collettivo di isteria ad un concerto dei Beatles, siamo solo in quel porto, quel piccolo porto in una calette di tanti anni fa, che è diventato un ampio, sicuro e apertissimo luogo di ancoraggio, e che continua avanti, glorificando con umiltà e lavoro duro il Signore, la sua Missione. Grazie!

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