Anche i bambini. Perchè no? Anche loro stanno percorrendo i passi del nostro cammino di quest’anno. Gli otto valori (umiltà, fiducia, libertà, leggerezza, fedeltà, perdono, tenerezza, amore) sono importanti soprattutto per chi sta sbocciando alla vita. Serve però un linguaggio adatto, serve liberare corde che noi adulti abbiamo imprigionato. Servono fiabe. Chiara Bini è una giornalista che, per passione, scrive fiabe. Le scrive di nascosto, come un bisogno del cuore, le scrive per amore, è uno dei modi più belli che conosce per dimostrarlo.
Nella giornata delle famiglie dedicata a umiltà e fiducia Chiara ha raccontato ai bambini venuti a Romena una prima fiaba scritta appositamente per quell’occasione.
I bambini hanno accolto la sua lettura appassionata e coinvolgente con tanto entusiasmo.
Ora quella fiaba entra nelle case di tutti, destinata ai bambini che vi abitano e anche a quello, un po’ trascurato, che abita dentro di noi.
E allora…facciamo silenzio e ascoltiamo la storia di Leonzio e Karan…
Leonzio e Karàn
Leonzio non aveva pace. Era intelligente, capace, ricco anzi ricchissimo, ma era un tipo che non aveva pace.
Leonzio possedeva una fabbrica di candele che era il suo unico vero orgoglio. L’aveva costruita partendo da una botteguccia di cerini tanti anni prima, tanti davvero perché Leonzio ormai aveva una certa età e anche qualche acciacco.
Ma mal di schiena e calli a parte, lui non si fermava. D’altra parte non aveva famiglia, non aveva amici, non aveva passatempi.
Aveva solo un’idea fissa e costante: fare la sua fabbrica di candele sempre più grande.
A furia di ampliare, ingrandire e allargare, aveva tirato su una vera e propria magnificenza.
Dalla “Scintilla”, così si chiamava il suo stabilimento, ogni sei ore uscivano centoventicinquemilatrecentoquarantatre candele. Lunghe, corte, a palla e a fusillo, tutte perfette. Quelle venute appena un po’ stortignaccole o non precisamente lisce, ci pensava Leonzio in persona a buttarle in un cassone e farle rifare.
“Imperfetta” gridava. E subito arrivava di corsa uno dei suoi ottantasette operai a recuperare la candela eliminata per rifonderla e rimodellarla senza difetti.
Ogni giorno Leonzio si alzava all’alba s’infilava nella sua fabbrica e fino a sera controllava, contava, contava e controllava, finché non era l’ora di andare a letto.
C’era un momento della giornata che a Leonzio piaceva di più.
Era quando saliva sulla terrazza sul tetto del suo stabilimento all’ora del tramonto. E da lì si metteva a guardare.
No, non guardava certo il sole che si andava a accucciare dietro i monti. Nemmeno il cielo rossastro, no, o le nuvole che si rincorrevano.
Lui da lassù faceva solo questo: torceva le sopracciglia e misurava a occhio la distesa di campi che gli si spianava davanti. E alla fine pensava che aveva costruito molto, ma quanto poteva estendersi ancora? E sogghignava.
Quella mattina, una mattina come tante, alla “Scinitlla” qualcuno suonò il campanello.
Driiin
“Per tutte le candele! – esclamò con un ringhio Leonzio – chi potrà mai essere. In pieno orario di lavoro, chi arriva fin qui a suonare A ME?”
In effetti, appuntamenti con fornitori quel giorno non erano previsti. Il postino non suonava mai, per carità. Pur di non incrociare quel vecchio tronfio malmostoso lasciava sempre le lettere nella cassetta. E poi se ne scappava via ben volentieri.
Vicini non ce n’erano….per tutte le candele, chi poteva mai essere…
DRIIIIIIIIN
“Nessuno smetta di lavorare – urlò ai suoi operai Leonzio – vado IO”. E brontolando si avviò ad aprire la porta.
“Buongiovno signove”.
“Sììììììììììì…..??? Che c’è. Chi è lei? Non compro nulla”
“O no, signove, non c’è da compvave”.
Davanti a Leonzio c’era un omino. Piccolo e all’apparenza gracile, lo stava fissando con uno sguardo sottile e generoso.
“Beh allora cosa vuole?”
“Vovvei piantave un seme”
Leonzio spalancò due occhi così. “Lo pianti! Cosa c’entro io. Guardi quanto spazio c’è qua in giro….” Disse mostrando con il braccio le distese di terreni intorno – “Non troppo vicino alla mia fabbrica eh, però…sennò tra un po’ dovrò tagliarla la sua pianta..sa, mi ingrandisco io”.
“No infatti non lo voglio piantave vicino alla sua fabbvica – si affrettò a spiegare l’omino – Le chiedo di piantarlo NELLA sua fabbvica. Sulla tevvazza sul tetto, per esseve pvecisi”.
“COOOSAAA??? Ma non se ne parla nemmeno” gridò Leonzio. E richiuse la porta in faccia all’omino con una forza tale che la “Scintilla” rimbombò tutta, dal tetto alle fondamenta.
Dopodiché se ne tornò a controllare e contare le sue candele. Contare e controllare.
Eppure qualcosa era successo. Leonzio continuava a pensare a quello strano omino e alla sua ancor più strana richiesta.
Passarono i giorni e dopo una settimana l’omino si ripresentò alla “Scintilla”. Stavolta non suonò. Lasciò un biglietto che fece scorrere sotto la grande porta.
PER IL SIGNOR LEONZIO – c’era scritto – “Gentile signore sono un botanico e viaggio per il mondo in cerca di semi rari che incrocio per creare nuove piante. Adesso ho un seme che vorrei piantare da lei Signor Leonzio, perché solo da lei può germogliare e crescere: è il seme della pianta che fiorisce alla luce della notte.
Le sarei grato se volesse aiutarmi. Cordialmente, Karàn
Per tutte le candele candelose del mondo, sbottò tra sé Leonzio dopo aver letto il biglietto. Che sfacciataggine.
Ma si sa, quando qualcuno ti mette in testa il tarlo della curiosità…
Leonzio sempre più spesso iniziò a pensare a quel seme e a quella pianta. E al fatto misterioso che SOLO da lui poteva crescere. Ci pensava e ripensava. Immaginava come sarebbe stata e soprattutto si chiedeva: che cosa voleva dire che fioriva alla luce della notte….
Intanto Karàn irremovibile tutte le mattine si presentava alla porta della “Scintilla”. Lasciava il suo solito biglietto e se ne andava.
La tiritera andò avanti un mese. Finché Leonzio, vinto dal desiderio di scoprire, più che dalla perseveranza di Karàn, decise di allestire una vasca piena di terra sul suo terrazzo.
“Ecco qua. E’ contento ora?” disse a Karàn.
Karàn ringraziò e finalmente piantò il suo seme.
Ogni sera a fine lavoro Leonzio saliva sul terrazzo ma non guardava più i terreni incolti intorno.
Guardava il sole che tramontava e che aveva portato calore al seme. Guardava il cielo per capire se aveva intenzione di mandare pioggia o vento.
Ormai gli occhi trovavano pace su quella vasca di terra. Le girava intorno, l’annaffiava, la puliva. Cominciò perfino a studiare botanica per vedere se riusciva a capirci qualcosa.
Finché spuntarono i primi germogli. Poi un fusticino. E la pianta con le sue foglie che parevan di velluto cominciò a crescere in altezza, robusta e rigogliosa sul terrazzo della “Scintilla”.
Karàn veniva a esaminare la sua creatura molto di frequente.
“Bel lavovo” diceva a Leonzio che tutte le volte s’inorgogliva in silenzio.
Leonzio senza accorgersi aveva dimenticato i suoi progetti di ampliamento della fabbrica. Adesso voleva solo una cosa: che arrivasse la fioritura.
E dopo sei mesi il momento della fioritura arrivò.
“Ci siamo” disse quella mattina Karàn solenne e più calmo del solito.
Leonzio fu preso dalla tremarella e non ci era abituato. E ora? Si chiese. Quella pianta l’aveva cambiato. In tutti quei mesi aveva imparato a farsi domande. Ad avere dubbi.
Aveva imparato a godersi il breve momento di un germoglio.
Soprattutto aveva imparato a rendersi conto che la pianta poteva anche non fiorire – la cosa adesso lo sgomentava – e che lui doveva accettarlo.
“Stanotte fiovivà – disse Karàn – Vedo i boccioli pvonti”.
“Ma la notte è buia” quasi disperato ripeteva a Karàn.
“Ci savà puve un motivo se io sono venuto qua da te” disse Karàn
“Beh io sono un grande imprenditore. Sono un uomo ricco, lavoratore, capace…”
Karàn lo guardava senza parlare finché disse: “Guavda oltve. A più tavdi”. E se ne andò.
Scese la notte. Leonzio da solo sul terrazzo camminava avanti e indietro. Non voleva arrendersi. Finché lo sguardo non gli si posò sull’insegna spenta della sua fabbrica:“Scintilla”.
La soluzione era a portata di mano, come aveva fatto a non capirlo. Un nanosecondo dopo era al telefono a chiamare uno a uno gli ottantasette uomini e donne che lavoravano da lui.
Gli chiese di correre lì, in fabbrica, a quell’ora sì, che c’era una sorpresa.
Non avendo MAI ricevuto una telefonata dal loro capo, assonnati ma stravolti dalla meraviglia, tutti si precipitarono.
Leonzio consegnò a ciascuno una candela accesa e li portò in terrazzo – anche lassù loro non c’erano mai stati.
Appena tutti videro la pianta meravigliosa le si fecero intorno, stupefatti.
Fu un coro di “Oooohhh….” “Uuuuhhh..”
Mentre la folla di fiammelle tremolanti delle candele ILLUMINAVANO LA NOTTE.
Finché….
Finché il prodigio avvenne.
Sotto i loro occhi spalancati – nessuno aveva più sonno – e sotto quelli stanchi ma felici di Leonzio il primo fiore sbocciò. Poi il secondo, poi il terzo….
Il resto è inutile raccontarlo.
Molto è cambiato da allora. Leonzio le candele continua a produrle, ma si è trasferito. Vive su una collina, tra piante e fiori che coltiva lui. Ascolta i consigli di Karàn che di quando in quando lo va a trovare. Legge i segni del cielo, della terra, delle nuvole. E non fa calcoli.
Ps. Karàn in indiano significa “amico”