La chiesa che vedete in questa immagine non c’è. O meglio, esiste per ora solo nel sogno creativo di un artista. E’ un’immagine antica, ma straordinariamente attuale: pensiamo alla rinnovata voglia di calore e di accoglienza che ha trasmesso l’arrivo del nuovo Papa. Dice una poesia di Rumi che è parte delle radici di Romena: “Vieni, chiunque tu sia. Sognatore, devoto, vagabondo, poco importa. Vieni, anche se hai infranto i tuoi voti mille volte. Vieni…” Per me un luogo come questo dice le stesse cose. Con la forza di un’immagine…
Stefano Reolon, è un artista veneto che, nel suo cammino di vita, ha anche trascorso qualche tempo nel nostro porto di terra, un anno fa. A questo suo progetto di chiesa ho pensato di dedicare un articolo che troverete nel prossimo giornalino di Romena. Ve lo anticipo qui.
La chiesa dell’abbraccio
Vi invitiamo a visitare un luogo dove l’arte rende possibile un abbraccio sempre rinnovato tra Dio e l’uomo. Vi invitiamo a conoscere l’artista che l’ha ideata, Stefano Reolon, e a immaginare, un giorno, di poterci entrare. Per restare nudi, a tu per tu con Gesù.
Seguitemi. Salite con me le scale che portano alla sede della nostra casa editrice nei nuovi spazi della fattoria. Entrate. Al centro della stanza c’è un grande tavolo. Oggi è pieno di immagini, di schizzi, di disegni. E pitture scendono giù anche dal soffitto, come panni stesi al sole. Un’esplosione di creatività da lasciar storditi. “Scusami, ora tolgo tutto” mi sento dire, con un filo di imbarazzo. “Togliere cosa? Questa meraviglia?” Più avanti saprò la destinazione almeno di una parte di quei disegni. Saranno l’anima visiva della nuova veglia di Romena.
Era estate. L’estate scorsa. Ora i disegni sono un piccolo monte accatastato in un angolo della libreria, una scorta di bellezza da tener buona per altre occasioni. E l’autore? E’ passato come tanti nel porto di Romena, cercando e lasciandosi cercare. Poi è volato via. Per fortuna è rimasto un numero di telefono. E il suo nome. Stefano Reolon.
Lo cerco. Gli dico quello che ho nel cuore: che il suo passaggio è stato un tornado di bellezza, che il suo tratto sembra capace di raccontare lo stile di Romena più di mille parole.
Mi racconta qualcosa di sé. E’ veneto, ha cinquant’anni, nel cassetto un diploma in ragioneria che gli ricorda di aver almeno tentato una vita ‘normale’, mentre la sua biografia racconta di come l’arte ha preso e scompigliato la sua vita impedendole di posarsi. “Quando guardo la realtà – mi dice – non riesco a vederla così, la immagino sempre reinventata”.
La creatività non è un dono leggero, è un vuoto d’ansia che non si riempie mai. Questa incompiutezza esistenziale è necessaria per aprire nuovi orizzonti. Ma costa fatica. Stefano ama da impazzire il Rinascimento ma vive in un’epoca che non gli assomiglia: un’epoca che ha troppa fretta di consumare per fermarsi a guardare ciò che è bello, ciò che, cioè, dà senso al vivere.
“Ti mando un progetto cui tengo molto”. Mi dice. Quando apro il file sul computer ho come un sussulto. Sul mio silenzio sento appoggiarsi parole che confermano il mio stupore. “Ho pensato a una chiesa che abbia al suo centro un Gesù che abbraccia, che abbraccia sempre, indistintamente. Ho pensato che chiunque vi entra, da qualsiasi storia provenga, possa sentirsi accolto”. “Vieni, vieni, chiunque tu sia, … Vieni, anche se hai infranto i tuoi voti mille volte. Vieni, nonostante tutto, vieni…” dice la poesia di Rumi su cui abbiamo fondato Romena. Eccola qua, con la forza di un’immagine: “In questo spazio – mi dice – vorrei che chiunque potesse sentire la possibilità di un a tu per tu con Dio”.
L’immagine è quella di un crocifisso trecentesco. Ma le sue dimensioni sono state così sviluppate da coprire tutta lo spazio della chiesa. Il crocifisso parte dal pavimento, poi il busto di Gesù sale sulla parete frontale e le sue braccia si incurvano lungo quelle laterali.
“Come dovrebbe sentirsi chi entra qui dentro?” gli chiedo. “Come se potesse entrare nel mistero dell’Incarnazione” spiega. Sul pavimento, mi spiega, i nostri piedi toccano il corpo di Gesù perché lui ci accoglie così come siamo, accoglie nel suo corpo anche i nostri passi sbagliati, i nostri fallimenti e, aldilà di tutto, vede sempre, di noi, la nostra unicità. Poi, quando alziamo la testa verso l’altare c’è spazio solo per il suo sguardo che entra in quello di ciascuno di noi. Ci guardiamo come due amanti. E ci abbracciamo. “Il suo abbraccio – dice Stefano – è incondizionato: è come se mi dicesse “non cesserò mai di abbracciarti”. “In questo spazio – aggiunge – corpo, cuore e anima dovrebbero pregare insieme e insieme accogliere il calore di Dio, l’amore sempre rinnovato di Dio per l’uomo”.
Il Gesù dell’abbraccio è stato pensato per una chiesa moderna di Schio, vicino Vicenza. Ma il progetto non è andato in porto. Stefano si chiede se esiste la possibilità di contenere uno slancio creativo, sapendo di non conoscerla. Comprendiamo la sua sofferenza. Somiglia a quella di un parto che non si compie, le cui doglie, però, non si arrestano. Ma l’emozione di entrare in un luogo simile è forte anche se per ora racchiusa dentro il recinto della virtualità. E mi stupisce quanta forza poetica, quanto Vangelo, quanta umanità, sia stata scritta in un solo segno visivo. “Mi spoglia di parole questa immagine” vorrei dirgli. Ed è in fondo l’effetto di tante delle cose che gli ho visto dipingere.
Dal porto di Romena, dove ha ancorato per un po’, invio a Stefano un abbraccio ideale, per lui, per la sua arte viandante, per i suoi sogni incrinati, che non devono spezzarsi. E per la sua chiesa dell’abbraccio. Che tocca il cuore già prima di esistere. E che quindi c’è, è in uno spazio sospeso, non lontano da qui.